Le parole come pietre di Sciascia l'onorevole

Undici interventi per circa un quadriennio: a tanto ammonta il ruolino parlamentare di Leonardo Sciascia. Nell`aula di Montecitorio, ricorda il collega di allora Marco Boato, ex capofila di Lotta continua, "sembrava voler passare alla storia come il recordman della brevità, dell`icasticità di parole brevi e quasi scolpite sulla pietra... ". Un`essenzialità che colpisce anche Andrea Camilleri, autore del volume "Le interpellanze parlamentari di Leonardo Sciascia", da oggi in libreria (Bompiani, 184 pagine, 12 euro) in occasione del ventennale della morte dello scrittore, 20 novembre 1989. Per Camilleri, l`autore del "Giorno della civetta" è da sempre autore intrecciato alla politica, "sia che scriva romanzi sia che pubblichi articoli d`attualità destinati a suscitare vivaci polemiche". La discesa in campo tuttavia arriva a notorietà consacrata, quando Sciascia, nel 1975, accetta la candidatura nelle liste del Pci, auspice Achille Occhetto, allora leader in Sicilia, per il consiglio comunale di Palermo. A gennaio 2007, le dimissioni. "Allora" dice Sciascia "mi sembrava giusto, necessario, mettere fine in quella città a quell`equivoco potere della De che durava ormai da trent`anni... Mi sono occorsi diciotto mesi per capire che il Pci non era predisposto a ricoprire quel ruolo d`opposizione... Il fatto è che non si poteva ingaggiar battaglia a Palermo e continuare il compromesso a Roma". Tre anni dopo, il ritorno di fiamma, l`elezione in Europa e alla Camera, ma con i radicali, e la scelta di Montecitorio. Camilleri ricorda che nella sua provincia, Agrigento, lo scrittore riceve appena un terzo delle preferenze del palermitano Salvo Lima, "il democristiano andreottiano ucciso poi dalla mafia per promesse non mantenute". A Roma è membro delle commissioni Affari Esteri e sul caso Moro. Sempre Camilleri osserva: "E lecito supporre che l`entrare a far parte i quest`ultima sia stata la ragione principale del ritorno di Sciascia alla politica attiva. Egli, infatti, nel 1978, aveva dato alle stampe, "L`affaire Moro" che, discostandosi, e di molto, dalle tesi ufficiali, aveva sollevato un vasto dibattito di consensi e di dissensi". Lo scrittore siciliano peraltro si era in precedenza interessato anche in chiave romanzesca all`esponente Dc ucciso dalle Br, quando, nel 1974, in "Todo modo", sostanzialmente "prefigurava l`autodistruzione della Dc". La realtà avrebbe poi superato la fantasia. In appendice al libro, Camilleri allega la relazione di minoranza del deputato Leonardo Sciascia, alla "Commissione parlamentare d`inchiesta sulla strage di via Fani, il sequestro e l`assassinio di Aldo Moro, la strategia e gli obiettivi perseguiti dai terroristi". Un gioiello per concisione e lucida problematicità. Per lo scrittore "non c`era nessuna rilevabile differenza tra Moro uomo libero e uomo prigioniero", considerato che leader de "era un uomo assolutamente pragmatico. Credo che esistessero per lui due soli principi: fede cattolica e libertà. Per il resto c`erano la trattativa, la mediazione, la duttilità continua". Sciascia a Montecitorio è un garantista doc e insieme attento chiosatore delle questioni legate a Cosa nostra. Critico verso leggi speciali e ogni eccesso di discrezionalità a favore delle forze dell`ordine, "soltanto che i cattivi governi offrono alle polizie incapaci e che finiscono con l`essere esercitati più sui cittadini incolpevoli che sui colpevoli". Quanto al contrasto ai picciotti il pensiero principe batte sulla sua allergia al cosiddetto "pensiero unico" in materia di antimafia. In proposito formidabile è l`intervento in cui, parla di certe "cose utili" messe in campo per arginare i boss. "Sono stato molto vicino al povero commissario Giuliano", racconta Sciascia a proposito del poliziotto freddato con sette colpi di revolver il 26 luglio 1970 da Leoluca Bagarella, "quando indagava sul caso De Mauro" (il cronista dell`Ora, sparito nel settembre 1970), "l`ho seguito osservandolo, perché era un uomo discretissimo, non parlava di nulla che avesse attinenza con il suo ufficio. Ho notato però una sorta di diagramma nel suo comportamento, era partito con una certa euforia, credeva ad un certo punto di essere giunto alla meta, poi l`ho visto deluso. Una volta mi ha detto una frase rivelatrice: "Mi creda, il ministro dell`interno dovrebbe essere altoatesino!". Qualche battuta dopo arriva, puntuale, la chiosa e la morale: "Non credo... che i ministri dell`interno debbano essere altoatesini, credo però che debbano comportarsi come tali". La stessa nettezza, Sciascia la riservava ai rapporti fra etica e politica. In un`intervista del maggio 1979 spiegava di essersi sempre occupato della seconda purché in relazione con la prima e concludeva, fra l`ammonitorio e il profetico: "Qualcuno dirà che questa è la mia confusione o il mio errore: voler scambiare la politica con l`etica. Ma sarebbe una ben salutare confusione e un ben felice errore se gli italiani... vi cadessero".
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