Il paradosso dei leghisti incompresi

I "conterranei vivaci", come li ha definiti con il suo sarcastico bon ton professorale Mario Monti, anche ieri in Senato hanno dato fondo al loro armamentario combattente e vociante, con striscioni e fischi. Con Roberto Calderoli a dare di "ragioniere" al premier e Rosi Mauro a gridare "vergogna!". Come sempre, hanno incassato le giuste reprimende istituzionali, ma anche un surplus ipocrita di correttezza formale e di incomprensione politica. Vedi il caso del vicecapogruppo del Pd, Luigi Zanda, che ha definito l'atteggiamento della Lega "manifestazione di squadrismo disperato", forse immemore di quanto avveniva, a banchi rovesciati, solo qualche mese fa.
Ma tutto questo è parte del paradossale destino di un animale politico difficilmente classificabile, e domabile, come il movimento di Umberto Bossi. Per anni il suo linguaggio è stato accusato di rozzezza, razzismo, logica eversiva. Poi, nella lunga alleanza con Silvio Berlusconi ("sono molto simpatici e sono tornati alla Lega di qualche anno fa, ha detto ieri l'ex premier, "siamo consapevoli che sarebbe masochista arrivare alle elezioni senza una grande alleanza"), sono stati accusati di aver tradito malamente e per pochi danari la loro anima irrituale, popolana e dirompente. Ora che invece non si piegano all'ossequio per il governo tecnico, e provano a farlo notare chiassosamente, sono tornati "squadristi disperati". Si dovrebbe invece guardare con meno pregiudizio, e chiedersi se oltre alle urla non ci sia anche un partito con i suoi leciti obiettivi che fuori dall'Aula, nel suo "territorio", sta ricominciando a fare la propria politica nella nuova fase. Mentre altri partiti stentano a ritrovarsi.
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