Paolo Ungari: una certa idea della politica

C'è una tendenza, da parte di alcuni esponenti della partitocrazia italiana a distinguere tra politica e cultura. Come se i due campi fossero tra loro divisi, ciascuno destinato al proprio ambito e al proprio specifico compito. Separati. Magari dialoganti, ma differenti. E così, la politica si è trasformata in potere fine a se stesso e la cultura è diventa qualcosa di noioso, ad appannaggio di una ristretta élite autoreferenziale. In questo modo, però, si arriva all'aberrazione di rendere netta una dicotomia che, invece, non dovrebbe sussistere: quella tra politici e intellettuali, tra politici e uomini di cultura. È un ragionamento che non regge e, anzi, ha già fatto danni enormi alla politica tutta. Infatti, seguendo il filo di questo discorso si arriva, inevitabilmente, a collocare in un tale schema le maggiori personalità che hanno segnato la politica italiana. Basti pensare a figure come Luigi Einaudi, grande statista e fine intellettuale.
Come bisogna considerare Einaudi? Si potrebbe citare anche Giovanni Spadolini, certamente un politico, ma anche profondo conoscitore della nostra storia moderna e contemporanea nonché giornalista di alta cultura risorgimentale. Insomma, dividere i politici dai pensatori, ovviamente a tutto danno di questi ultimi, serve soltanto ad abbassare il livello della classe dirigente politica italiana. Elio Vittorini, per esempio, bisogna considerarlo un politico oppure no? E Leonardo Sciascia, non era forse un politico fin dentro al midollo? E Beppe Niccolai? E l'elenco dei nomi potrebbe continuare. Ma facciamo un passo indietro: negli anni Cinquanta, sono stati molti i futuri dirigenti politici che si sono formati alla scuola di passione politica che fu l'Ugi, cioè l'Unione dei goliardi. In quell'ambiente, in quel momento, non vi era la distinzione tra cultura e politica. Basti pensare a figure come Mario Pannunzio: il direttore de Il Mondo, era un politico o un intellettuale? Da questo semplice interrogativo, si capisce bene come tale suddivisione tra politica e cultura sia tuttora risibile e inutile. Tra i ragazzi che, proprio in quel frangente, animarono il gruppo degli universitari dell'Ugi, si ricordano spesso e giustamente Bettino Craxi o Marco Pannella, ma anche un altro nome si impone alla nostra coscienza: quello di Paolo Ungari. Una grande personalità laica e autenticamente liberale. Fu professore ordinario di Storia del Diritto italiano e, poi, docente di Diritti dell'uomo presso la facoltà di Scienze politiche della Luiss "Guido Carli" di Roma. Paolo Ungari, purtroppo scomparso nel 1999 a seguito di un tragico incidente, era un fine politico di rara intelligenza e di vasta cultura, tanto che, forse proprio per questo motivo, oggi, viene spesso rimosso dall'antipolitica e dalla sotto-cultura dominante. Non a caso, Ungari fu, per un breve periodo, proprio in quegli anni Cinquanta, anche presidente nazionale dell'Unuri, il governo degli universitari di allora, cioè l'Unione nazionale universitaria rappresentativa italiana, in altre parole l'organo degli studenti italiani dal 1948 (congresso di Perugia) al 1968. Erano i tempi in cui i giovani, nelle università, facevano cultura e provavano le formule del futuro. Elaboravano idee, avevano inventiva, immaginavano un avvenire diverso, proponevano soluzioni, agivano, intraprendevano lotte politiche. Come succede a quell'età. Ma con qualche cosa in più. Tra questi ragazzi pieni di forza d'animo e con grande forza di volontà, spiccava la personalità di Paolo Ungari, tanto è vero che la sua biografia, successivamente, lo confermerà: alto funzionario della Camera dei deputati, esponente del Partito Radicale prima e del Partito Repubblicano Italiano dopo. Anzi, nel dicembre del 1955, Ungari fu tra i fondatori del Partito radicale, insieme a Leo Valiani, Francesco Compagna, Giovanni Ferrara, Franco Libonati, Alberto Mondadori, Arrigo Olivetti, Mario Pannunzio, Leopoldo Piccardi, Rosario Romeo, Ernesto Rossi, Nina Ruffini, Eugenio Scalfari e Guido Calogero. Nel 1993 aderì a un movimento politico liberale fondato da Raffaele Costa e Alfredo Biondi. È stato Presidente della Commissione per i diritti civili della Presidenza del Consiglio durante il governo Craxi. Ha svolto la sua attività politica soprattutto nel Partito Repubblicano, era legatissimo a Ugo La Malfa e, infatti, lo accompagnò fino alla fine con i suoi consigli giuridici. Poi, fu molto vicino a Spadolini, il primo laico a divenire presidente del Consiglio, fino alla chiusura di quella stagione. Fu autore di fondamentali opere sulla storia della codificazione in Italia, sul diritto di famiglia, sul diritto parlamentare, sul diritto delle anonime, sull'ideologia giuridica del fascismo e di migliaia di saggi, pubblicazioni, articoli, collaborazioni a riviste scientifiche, culturali, politiche. Un suo libro del 1974, Alfredo Rocco e l'ideologia giuridica del fascismo pubblicato dalla Morcelliana è stato uno dei testi fondamentali sul revisionismo in merito al fascismo (recensito entusiasticamente da Giano Accame e citato da Beppe Niccolai nel suo documento Segnali di vita). Ungari è stato uno dei pochi in grado di unire una competenza giuridica di una vastità inverosimile, a una conoscenza a fondo dei meccanismi delle nostre istituzioni. Il suo liberalismo, che si nutriva del pensiero di Croce ma anche di quello di Mazzini, lo portò sempre su posizioni di minoranza. Insomma, fu un politico di idee e non di chiacchiere. Aveva una sua piena autonomia di analisi e di azione. Era un esempio. Lo è ancora di più oggi. Ha lasciato in eredità il coraggio di mobilitarsi contro le ingiustizie, l'intolleranza, la discriminazione, la cecità delle logiche partitocratiche. Ungari era innanzitutto un politico. Non a caso, resta un punto di riferimento di grandissima attualità e, quindi, viene troppo spesso dimenticato. Del resto, si è sempre battuto per la forza della parola, per la fratellanza e contro la violenza, per l'uguaglianza, la giustizia e la libertà. Battaglie politiche che dovrebbero animare la discussione in corso. Perché politica è cultura.
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