La pantomima del caso Giovine

La corte di Cassazione ha deciso di anticipare al 14 novembre il processo contro il consigliere regionale Michele Giovine e suo padre, già condannati due volte per avere falsificato le firme della lista «Pensionati per Cota» alle elezioni del 2010. Fin qui niente di eccezionale. E invece no. A questa decisione si è arrivati dopo che la causa, per l’ennesima volta, era stata rinviata, dal 9 luglio al 18 febbraio, e che solo il ricorso degli avvocati di Bresso aveva poi consigliato la scelta salomonica che taglia più o meno a metà la durata dell’ultimo slittamento.
La cosa non è ininfluente sul piano legale. La lista contestata, in termini di voti, ha consentito a Cota di battere il presidente uscente Bresso. Ciò vuol dire che una sentenza definitiva di condanna, di Giovine, peraltro non nuovo a queste imprese, potrebbe consentire al Tar di prenderla in considerazione ai fini del giudizio su un possibile risultato taroccato delle elezioni.
C’è qualcosa di incredibile e di perverso in questo meccanismo che dilata i tempi e finisce per far perdere alla politica l’ultimo residuo della sua già compromessa credibilità. Come dire che è quella strana realtà che permette di combinare di tutto senza correre rischi, facendo della furbizia un modello di comportamento. Ma se la politica è tutto questo appare quanto meno sorprendente e disarmante che la giustizia tenda a somigliarle o che non faccia nulla per evitarlo, spesso anzi assecondandola col ricorso a sotterfugi bizantini, giudicando e decidendo, senza alcuna attenzione al fattore tempo. Che ha la sua importanza. Sono passati ormai tre anni da quando si è votato per il rinnovo del consiglio regionale il cui esito è oggetto di contestazione. Per il suo rinnovo naturale si dovrà tornare alle urne nel 2015. Ma se il Tar dovesse pronunciarsi a favore della signora Bresso le elezioni potrebbero essere anticipate di un anno, mese più mese meno. Per la Regione Piemonte sarebbe una “prima volta” ma è già successo altrove e non è certo la fine del mondo. Resta in ogni caso l’eccezionalità del percorso burocratico anomalo lungo il quale si sta sviluppando una storia all’italiana e non è privo di effetti collaterali.
Intanto se si dovesse arrivare in qualche modo alla conclusione che Cota è stato eletto “irregolarmente” se ne dovrebbe dedurre che avrebbe governato per quattro anni il Piemonte, assieme alla sua maggioranza di centro destra, senza avere quei requisiti primari che derivano dal numero dei consensi da parte degli elettori. In questo caso sarebbe difficile spiegare ai cittadini elettori in maniera credibile come mai siano stati impiegati quattro anni per una controversia del genere (negli Usa in pochi giorni si chiarì la questione dei voti contestati della Florida in occasione della elezione a presidente di Bush figlio nel 2000). Ancor più complicato, risulterebbe il tentativo di far capire alle forze di centro sinistra che per quattro anni al loro posto ha governato una maggioranza che non aveva i numeri, non solo quelli aritmetici. Se poi si decidesse per la regolarità della elezione di Cota si dovrebbero scontare quanto meno due effetti: quello di un governatore del Carroccio che è stato limitato nel suo operare dalla perdurante incertezza di un verdetto o, per contro, l’ipotesi che egli possa avere utilizzato questa incertezza come alibi per i risultati non entusiasmanti della sua giunta.
Ora se questo è lo stato dell’opera e non si riesce ad avvistarne un altro meno desolante viene da chiedersi se il Piemonte, per dire non l’ultima regione d’Italia ma quel pezzo di Nord Ovest che è al quarto posto nazionale per Pil, meriti questa assurda punizione. E’ una domanda che sorge spontanea di fronte a una pantomima di rinvii che non ha eguali in altri Paesi. Un meccanismo che scredita chi ne trae profitto e chi permette che ciò avvenga. Ma anche una prova ulteriore, se mai ve ne fosse bisogno, dalla impraticabilità di un Paese dove per sapere se un consigliere regionale ha falsificato alcune firme s’impiega lo stesso tempo o quasi della tornata legislativa contestata. E’ questa una vicenda che non si esaurisce nello spazio più o meno delimitato della politica e della giustizia che non funzionano o funzionano male per ragioni tra loro diverse. Poiché dal momento che si tratta di comportamenti diffusi e anche per questo pubblicamente noti è difficile immaginare che qualcuno, persona singola o gruppo, pubblico o privato, decida di venire a investire un euro in un posto del genere. E se è così allora si capisce come la partita Bresso versus Cota arbitrata, da questa magistratura, sia destinata a finire non con la vittoria di uno dei contendenti ma come la sconfitta di tutti.
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