I paletti dell'Italia "Intervento solo sotto l'egida Onu"

«L’Italia non prenderà attivamente parte ad alcun intervento militare in Siria che sia deliberato al di fuori del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, che per noi rimane l’unico imprescindibile quadro di riferimento giuridico». Quando Emma Bonino pronuncia questa frase, ieri in Parlamento, sembra una posizione perfettamente scandita dal famoso articolo 11 della Costituzione italiana, oltre che quella di chi ha alle spalle una lunga storia di difesa dei diritti e del diritto anche umanitario, e non per questo annoveratile nelle fila del pacifismo ideologico. È la posizione ufficiale dell’Italia, motivata «con senso di responsabilità per gli impegni, assunti nella regione e che manterremo, e che già sono oltre il limite delle nostre possibilità, nel contingente Unifil in Libano, in Afghanistan, e con grandissime difficoltà per la stabilizzazione della Libia, impegno recentemente riconfermato in sede G8».
Il Parlamento ha perfettamente condiviso la posizione del governo, che con Bonino ha preso l’impegno di informare anche «ad horas» su qualunque novità e decisione. Il ministro ha offerto una dettagliata e approfondita analisi, tratteggiando la «linea del fuoco» dello «scontro geo-politico in atto per il predominio sul mondo islamico non solo tra sciiti e sunniti, ma anche interno alla famiglia sunnita» che vede l’Europa, che pure per una volta sull’Egitto si è espressa con una voce sola, avere «le armi spuntate» davanti a nuove potenze emergenti, Qatar e Arabia Saudita, «dotate di ben altri mezzi». Sul piatto dell’Egitto, i sauditi hanno puntato 12 miliardi di dollari La linea sulla Siria era stata stabilita la sera prima nella «war room» appositamente convocata a Palazzo Chigi, con il premier Enrico Letta, il vice Alfano e il ministro della Difesa Mario Mauro, proprio mentre intanto John Kerry definiva la guerra l’eccidio di 1.300 cittadini con l’uso di gas sarin «un’oscenità morale» cui l’Occidente non può assistere inerme. Emma Bonino aveva parlato nei giorni precedenti più volte col Segretario di Stato Usa, che da mesi vedeva le proprie posizioni interventiste frangersi contro la riluttanza di Barack Obama: la titolare della Farnesina nutre dubbi sui rischi di un intervento «stile Kosovo», poiché l’opposizione siriana non ha un solo volto, è frammentata in mille fazioni, anche estremiste e anche qaediste, e si chiede retoricamente «che fine farebbero» i colloqui di pace tra Israeliani e Palestinesi, appena riavviati proprio grazie alla tenacia dello stesso Kerry. E «non è un segreto che i più contrario all’intervento, per la complessità sul terreno e della regione, sia proprio il Pentagono».
Ieri sera, mentre i media anglo-americani gareggiavano nel tratteggiare tempistica e intensità degli strike americani, dati per certi e imminenti proprio mentre la Casa Bianca continua a essere riluttante, Letta ha chiamato Cameron, spiegando la posizione dell’Italia che giudica «crimini intollerabili» quelli commessi da Assad sul proprio popolo. Cameron, a sua volta, ieri ha spiegato che «agire non vuol dire guerra in Medio Oriente». I timori di un attacco, infatti, sono proprio questi. E valgono, spiega un’alta fonte diplomatica, anche per Israele, che non avrebbe ancora dato agli Stati Uniti il proprio assenso: solo ieri sono arrivati a Washington gli strateghi militari di Tel Aviv. L’Italia, comunque, attende che il Consiglio di Sicurezza Onu, di cui ha chiesto la convocazione, esamini la questione Siria «prendendosi le proprie responsabilità», come dice Emma Bonino, impegnata in un vortice di contatti con i suoi omologhi di Russia, Qatar, Francia, Turchia, Iran, Polonia e Svezia. Una situazione tutta in salita, quella all’Onu, per il probabile veto (se si arrivasse a votare un intervento in Siria) della Russia. Come ha detto a Bonino il ministro degli Esteri di Mosca, Lavrov, «noi non siamo sostenitori critici di Assad, ma se cade che succede dopo di lui? Vi ponete il problema, o fate come in Libia?».
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