Il Palazzo è vuoto ma la politica lavora Riunioni segrete, guai sbagliare alleati

Alla vigilia di una due giorni difficile per il governo Berlusconi, la Camera aveva l'aspetto di un palazzone disabitato. Non un parlamentare, non un dirigente di partito: solo qualche giornalista avvinto alle agenzie che trasmettevano le notizie sul «Bisignani-gate».
Dunque, un lunedì come tanti altri. Almeno all'apparenza. In realtà, deputati e senatori, maggiorenti e dirigenti, leader e simil-leader non hanno dedicato questa giornata all'ozio. A Roma come a Milano si sono alternate riunioni su riunioni. La maggioranza si divideva in diversi rivoli. Al Nord si saldava l'asse Formigoni-Bossi, che faceva dire a Pannella: «Quei due ormai copulano». Nella Capitale Alemanno si attaccava al telefono per parlare con il «nuovo» amico, Scajola. Tra Milano (da dove partiva) e Roma (dove arrivava), Berlusconi si interrogava, nell'ordine: sul motivo per cui l'unico a non frequentare con assiduità Bisignani fosse lui, sulle intemperanze della Lega e sul reale stato dei rapporti tra Bossi e Tremonti («Giulio gli fa da badante ogni settimana», mormorava il premier ironizzando sul tentativo del ministro dell'Economia di tenersi buono il capo della Lega). L'opposizione, invece, manteneva una certa compattezza. Perché dividersi quando oggi la maggioranza andrà sotto sugli ordini del giorno che riguardano lo spostamento dei ministeri al Nord? Lo si può sempre fare dopo: il centrosinistra su questo non prende lezioni da nessuno.
Perciò, mentre da una parte si lavorava con alacrità a questi documenti, dall'altra, il Pd mandava avanti gli appuntamenti già fissati da giorni. Uno per tutti, la conferenza nazionale della sicurezza: guest star Roberto Maroni. Dal palco gli oratori avevano appena finito di parlare male di lui e in sala i parlamentari stavano discettando sugli ordini del giorno anti-leghisti, quando il ministro dell'Interno ha fatto il suo ingresso. Prontamente, e soprattutto inavvertitamente, è scattato il battimani. La platea, divisa tra la voglia di combattere il Carroccio secessionista e la speranza che Maroni faccia saltare il banco berlusconiano, alla fine, ha scelto la seconda pulsione. Nella stessa sala dove si erano svolti affollatissimi e «storici» convegni del centrosinistra - da quello dei progressisti di Occhetto al seminario sulle riforme elettorali organizzato da D'Alema, con Veltroni segretario ds - questa volta non c'era la ressa e i posti a sedere abbondavano. Segno che quello della sicurezza non è più un problema per gli italiani? O, piuttosto, e più probabilmente, la spia del fatto che anche i partiti vincenti non trainano più come un tempo?
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