Le pagelle della politica. Bandiere ripiegate e speranze perdute

MARIO MONTI: 4
Non passa giorno senza che Mario Monti non dica più o meno esplicitamente che il suo obiettivo non è tanto vincere le elezioni (ha infine scoperto i propri limiti, il Professore) quanto scardinare Pd e Pdl subito dopo il voto arruolandone parte degli eletti. Se ne ricava un certo scetticismo sulla capacità di discernimento degli elettori: il trasformismo come metodo di lavoro della mitica società civile, Clemente Mastella come modello inarrivabile.
EMMA BONINO: 7
Ogni 7 anni c’è qualcuno che propone Emma Bonino capo dello Stato. Ieri è stata la volta del finiano Benedetto Della Vedova. Lodevole, ma irrealistico, proposito. Sconcerta, semmai, che nessuno dei tre poli abbia ritenuto di arruolare Bonino e compagni nella propria coalizione. Neanche nel Lazio, dove lo scandalo delle spese dei gruppi regionali è scoppiato solo grazie ai radicali. Ennesimo segno che «partitocrazia» e «costi della politica» sono bandiere da agitare in campagna elettorale, e ripiegare al più presto.
ANTONIO INGROIA: 5
«Le intercettazioni delle conversazioni tra Napolitano e Mancino sono nel mio archivio mentale», ha detto l’ex pm palermitano Antonio Ingroia. E senza rendersene conto ha con ciò perfettamente illustrato le ragioni di chi ritiene a dir poco inopportuno il repentino passaggio dei magistrati dalle aule dei tribunali a quelle parlamentari. Di avvelenatori di pozzi ce n’è già a sufficienza.
ROMANO PRODI: 6
Non è colpa dell’inventore dell’Ulivo, naturalmente, che sta solo cercando la via migliore per arrivare al Quirinale. Ma siamo sicuri che il ritorno in scena di Romano Prodi giovi a Bersani? Scatta infatti nell’elettore una funesta associazione di idee: belle speranze ingoiate da coalizioni ingovernabili. Ad oggi ci sono il Pd, Sel, i centristi di Tabacci, gli ex dipietristi di Donadi. Serviranno però anche i «civici» di Monti, quelli di Montezemolo, quelli di Riccardi, l’Udc, Fli...
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