Per pagare le pensioni il piccolo non è bello

Dalla Rassegna stampa

L'architettura di un sistema previdenziale dovrebbe avere come scopo fondamentale la gestione efficiente e lungimirante dei rischi di natura demografica, economica e finanziaria che gravano sul risparmio, in modo da far sì non solo che ai contributi versati durante la vita lavorativa corrispondano "buone" prestazioni nel periodo del pensionamento, ma anche che le generazioni presenti non si costruiscano comode garanzie a scapito di quelle che verranno. La struttura, in altre parole, dovrebbe essere il più possibile adeguata nelle prestazioni e sostenibile nelle modalità di finanziamento.
Purtroppo, efficienza e lungimiranza sono virtù piuttosto rare in pratica, mentre sostenibilità e adeguatezza sono obiettivi spesso discordanti. Questa realtà di fondo è ben documentata nei dati sulle casse professionali, raccolti anche quest'anno dal Sole 24 Ore. Per rendersene conto è necessario considerare che nei sistemi pensionistici a capitalizzazione (con formazione di riserve e loro utilizzo per il pagamento delle pensioni), il rischio finanziario prevale su quelli demografici ed economici, mentre nei sistemi a ripartizione (la gran parte di quelli pubblici) accade l'inverso. Ogni sistema è peraltro in grado di trovare un suo equilibrio finanziario di lungo termine, ossia di bilanciare spese pensionistiche ed entrate contributive, senza formazione di disavanzi sistematici.
Secondo il metodo contributivo, largamente introdotto in Europa con le riforme degli anni '90, l'equilibrio si ottiene correlando le pensioni ai contributi versati - remunerati a un tasso di rendimento sostenibile - e all'aspettativa di vita al pensionamento. Nei sistemi a capitalizzazione, invece, i rendimenti coincidono con quelli del mercato finanziario e, ovviamente, se il mercato registra perdite anche le pensioni ne soffrono, com'è successo ai fondi pensione, in particolare americani e inglesi, con la recente crisi finanziaria. La formula contributiva salva anche in questo caso la sostenibilità ma i pensionati soffrono ovviamente dei ridotti livelli pensionistici.
Nei sistemi a ripartizione, il tasso sostenibile di rendimento coincide con quello di crescita della massa contributiva, a sua volta pari alla somma dei tassi di crescita degli iscritti e del loro reddito medio. Tecnicamente, si può dire che il rischio è ben distribuito se si calcola questo tasso per l'intera economia in quanto si tratta di una media dei tassi specifici delle diverse occupazioni e professioni, alcune delle quali si espandono, mentre altre si contraggono; le fortune delle prime tendono perciò a sopperire al deficit di risorse delle seconde.
Applicato a una singola categoria il sistema a ripartizione presenta, però, rischi molto maggiori specie quando si accompagna a formule retributive di calcolo dei benefici. È questo il nocciolo fondamentale del problema delle Casse previdenziali dei liberi professionisti; nei periodi di espansione della professione, le entrate sono elevate e si possono corrispondere pensioni generose, ma quando la dinamica declina le entrate si riducono, si formano disavanzi e si riduce il patrimonio, anche a dispetto di aumenti di aliquote contributive e di riduzione di benefici. La formula contributiva, che alcune Casse hanno prudentemente adottato, consente allora di ripristinare la sostenibilità, ma a scapito del livello delle prestazioni, cioè dell'adeguatezza. La morale della storia è che nessuno basta a sé stesso, neppure le Casse dei professionisti e la loro pretesa autonomia rivela la contraddizione, pur comprensibile, di chi vuole l'uovo oggi e la gallina domani.
In mancanza di correzioni spontanee, il legislatore ha spinto verso comportamenti più consoni a scenari di riforma. Le nuove linee guida del ministero del Lavoro si collocano nella giusta prospettiva e sono sono nell'interesse delle giovani generazioni, di liberi professionisti: un orizzonte di (almeno) 50 anni; "paletti" per le ipotesi di base, non più estrapolabili dagli andamenti passati delle singole Casse, ma calibrate sull'intera economia italiana e non delle singole Casse; rafforzamento delle riserve. Si cerca di evitare che l'inadeguatezza del disegno metta a rischio il "patto generazionale". Di fronte a problemi così vasti, la via maestra consiste nelle fusioni di più Casse previdenziali. Tali fusioni allargano la "platea" e rendono i tassi di crescita più simili a quelli dell'intera economia, e ciò riduce sia il rischio, sia i costi. Non si tratta di riforme radicali, ma di innovazioni di buon senso e di mutuo vantaggio tra associazioni che non potranno comunque non spingersi oltre il loro attuale "campanilismo". Tra le tante innovazioni di cui il paese ha bisogno queste sono tra le più importanti.

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