Ora Silvio vada giù duro

Ciò che impressiona in questo dopo elezioni sono le risatine di tanti esponenti della sinistra che farebbero pensare a una certa soddisfazione per il risultato. In realtà il Pd avrebbe buone ragioni per piangere. Ha perso voti a vantaggio di Di Pietro e perfino di Grillo, che in certi luoghi ha avuto più consensi dell’Udc, nonché di una miriade di sigle nate dalla decomposizione dell’estrema sinistra. È vero che Rifondazione,
Comunisti italiani e Verdi sono pressoché spariti, ma i loro suffragi non sono tornati alla casa madre (l’ex Pci), si sono sparpagliati qua e là, dispersi.
Segno che Bersani non è in grado di ricompattare un bel niente se non al prezzo di un avvicinamento alle posizioni giustizialiste che, come dimostra l’Idv, hanno un seguito. Ma un simile spostamento comporterebbe un rischio: disgustare l’ala cattolica e moderata. Insomma, siamo alla classica coperta corta: o ti raffreddi le spalle o i piedi.
Il problema del Pd è che da quando ha scartato le vecchie ideologie non ha più neanche le idee al di fuori di un generico progressismo; che non esercita alcun fascino sui giovani e sui radicali i quali, pertanto, vanno in cerca di appagamento in partitini senza futuro. Le elezioni politiche si svolgeranno fra tre anni,
quindi i democratici avranno tempo per darsi una identità. Ma quale identità?
Berlusconi - Dieci giorni fa qualcuno nella maggioranza e molti nell’opposizione gli avevano già preparato il funerale politico. Girava insistente la voce che avrebbe avuto un crollo nel gradimento popolare e sarebbe stato costretto a mollare. È successo il contrario e i becchini si sono trasformati in sacerdoti addetti ai festeggiamenti per la vittoria del leader. Il quale ha svoltato grazie a una intuizione che ci era parsa, lì per lì, una banalità: la manifestazione di piazza a Roma. Il raduno, dopo settimane e settimane di campagna denigratoria del premier, del governo, della Protezione civile eccetera, ha risollevato gli
animi e infuso coraggio negli elettori. L’astensionismo c’è stato lo stesso, però meno imponente del temuto e ha penalizzato un po’ tutti.
Il centrodestra aveva due Regioni, adesso ne ha sei. Si era detto che quattro sarebbero state grasso colante; se ne sono aggiunte due importanti (Lazio e Piemonte) e questo se non è trionfo per un Cavaliere considerato spacciato - poco ci manca. Si è avuta la conferma: se lui ci mette la faccia e si impegna in prima persona, non c’è storia, vince. Come si spiega? Non si sa. È un fatto che la gente, anche quella che non lo ha in particolare simpatia, nei momenti decisivi si fida più di lui che di altri. Forse è indispettita dagli assalti che gli fanno, ricorrendo a mille mezzucci e mille armi improprie, gli avversari e i loro complici di varia estrazione anche istituzionale.
Bossi - I malanni fisici lo hanno, paradossalmente, reso più autorevole, pacato, saggio. Parla poco, ma quando parla lascia una traccia. Si è contornato di gente capace, soprattutto fedele, capace di ascoltarlo e di eseguirne gli «ordini», che in politica è raro. Il partito è compatto, lavora bene sul territorio, è in sintonia con i suoi elettori e ne è premiato. Sbaglia chi ritiene che una Lega forte sia una minaccia per il premier, cui sottrarrebbe quote di potere. Non bisogna dimenticare che Umberto e Silvio da anni sono amici fraterni, leali; lavorano di comune intento. Sono la stampella l’uno dell’altro. Insieme camminano; separati si siedono. Accadrà piuttosto una cosa. La verifica elettorale ha rafforzato la coalizione di governo che, pertanto, potrà dare una accelerata alla realizzazione delle riforme: giustizia, tasse, federalismo fiscale senza il quale le regioni sono enti abbastanza inutili perché non hanno fondi; il 70-75 per cento (minimo) delle risorse viene assorbito dalla spesa sanitaria. Con i soldi che avanzano non si va lontano.
Fini - Immaginiamo che tra alcuni giorni si incontrerà con Berlusconi per discutere l’avvenire del Pdl: organizzazione, gerarchie, correnti e linea politica. Ci sarà un punto di intesa? Forse sì, e speriamo non sia provvisorio. Indubbiamente il dato positivo delle consultazioni, e il successo tutto berlusconiano della Polverini nel Lazio, hanno indebolito il presidente della Camera che in campagna elettorale se non ha remato contro non ha remato affatto. Confidava in una flessione di consensi? Sarebbe troppo. Di sicuro però non ha acceso un cero a San Petronio. E oggi che può chiedere al capo? Per ogni cosa che ottenesse, una ne dovrebbe dare. Trattare in queste condizioni non è il massimo della vita. Fini ha costituito il gruppo Generazione Italia e si tiene Farefuturo. Per il momento si accontenterà di questo.
Casini - Ha scelto la politica cosiddetta dei due forni e si è ustionato. Voleva indebolire il bipolarismo e lo ha consolidato. Spesso il suo tatticismo d’antan ha funzionato, stavolta no. La scaltrezza non sempre basta. O lui si colloca in un condominio o rimarrà senza fissa dimora, esposto a ogni intemperia. In Piemonte ha appoggiato il centrosinistra ed è stato sconfitto. In Puglia ha fatto da sé col medesimo esito. Che senso ha essere l’ago della bilancia in un Paese diviso tra berlusconiani e antiberlusconiani? Pier Ferdinando comunque non è nato ieri e rimedierà. Difficile però che rientri nell’ex Polo delle libertà dove non c’è posto per uno che eccepisce su tutto. In ogni caso, mai dire mai. Se optasse per un alloggio in zona Bersani avrebbe a che fare con Di Pietro e con i laicisti con i quali si può fare merenda una volta tanto, ma non cenare ogni sera. Casini ne sarà consapevole. Interessante vedere a quale indirizzo si presenterà.
Affluenza - Ne abbiamo già accennato. I motivi del calo sono parecchi. Intanto la politica delle sberle giudiziarie e delle risse televisive, degli sgambetti su questioni formali (liste bocciate per un timbro) e degli scandali montati ad arte con la collaborazione di escort e affini se ha nauseato l’elettorato di chi la subisce, ha stufato anche quello di chi la pratica. Inoltre bisogna considerare che le regionali non attraggono quanto le politiche, un po’ di assenteismo è fisiologico; c’è chi ignora addirittura quali siano le attribuzioni delle Regioni. Infine, la data delle votazioni era sballata: la domenica delle Palme. Scuole chiuse in anticipo (per sistemare i seggi) e vacanze pasquali a seguire. Ovvio che le famiglie (non indigenti) ne abbiano approfittato per tagliare la corda, infischiandosene del Pd e del Pdl.
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