E ora Putin fa la sua mossa in Siria

Vladimir Putin ha atteso la rielezione prima di imprimere una svolta significativa alla politica estera della Russia, a cominciare dalla crisi siriana e dai rapporti con Teheran. A dirlo al Foglio è un alto dirigente dell'intelligence militare russa. "Pur restando contrari a un intervento militare in Siria, riteniamo che Bashar el Assad debba lasciare il potere", aggiunge la nostra fonte, ricordando che Vladimir Putin non ha mai considerato (a differenza del segretario di stato americano Hillary Clinton) Assad un riformatore. Lo sa bene il ministro degli Esteri Serghei Lavrov, al quale sarebbe stato affidato il compito di imporre a Damasco un immediato cessate il fuoco e la contestuale apertura di un corridoio umanitario per portare soccorso ai civili. Fondamentale è, però, che "cessino i maldestri tentativi, soprattutto da parte britannica e francese, di usare le missioni umanitarie per infiltrare consiglieri militari ed elementi delle truppe speciali nei teatri operativi", sostiene la nostra fonte. In riferimento ai rapporti con l'Iran, Putin vorrebbe ergersi a mediatore con l'occidente, avendo ormai constatato che Teheran è prossima a diventare una potenza nucleare. Rientra in tale strategia il congelamento dei conti correnti dell'ambasciata iraniana a Mosca, compresa la carta di credito personale dell'ambasciatore Seyed Mahmoud Reza Sajjadi. È un segnale per ribadire il peso economico e soprattutto politico del Cremlino in vista dei colloqui sul nucleare in programma a Istanbul il mese prossimo. "Se Putin comprende i timori di Benjamin Netanyahu per l'incombente minaccia nucleare iraniana - aggiunge il nostro interlocutore – non si capacita della politica ondivaga di Washington e soprattutto è rimasto colpito dalla dichiarazione in cui la Casa Bianca si dichiarava disponibile a dialogare con lui solo a elezione convalidata". Uno sgarbo che a Mosca non sarà facilmente digerito.
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