Ora o nel 2013 prima del voto c'è l'agenda Ue

Se ci fosse maggiore logica nella nostra politica, il governo Monti non si appoggerebbe da mesi a una bizzarra semi-maggioranza Pdl-Pd-Udc. Sarebbe invece protetto dal guscio di una vera maggioranza di unità nazionale: godrebbe del sostegno convinto dei tre maggiori partiti e sconterebbe l'opposizione delle forze populiste, come in effetti accade.
L'anomalia italiana ha reso impossibile questo scenario e il riaffacciarsi di Berlusconi sulla scena non ha migliorato le cose.
D'altra parte, il gran parlare che si fa di legge elettorale non risolve ancora il problema politico della «governabilità», in autunno o nel marzo del 2013. Se la «grande coalizione» è impossibile oggi, con lo "spread" a 530 e la Borsa ai minimi storici, cosa la renderà possibile dopo una campagna elettorale che rischia di essere lacerante come tutte le campagne degli ultimi decenni?
Sul "Foglio" Giuliano Ferrara usa la definizione di «governi di unità sovranazionale» per dire quali sono i limiti delle competizioni elettorali domestiche nel tempo delle tempeste finanziarie globali. In definitiva non è tanto importante, a questo punto, sapere la data dell'appuntamento con le urne, quanto conoscere lo spirito con cui i partiti si preparano a chiedere il voto degli italiani.
Quando ci si riferisce all'«agenda Monti» come a una sorta di comune denominatore programmatico che dovrebbe vincolare la triade Pdl-Pd-Udc, si sta parlando proprio della dimensione sovranazionale ed europea del problema.
«Agenda Monti» è un termine sintetico per descrivere tutto ciò che ci lega (o dovrebbe legarci) all'Europa: credibilità dei governanti, scelte dolorose ma lungimiranti, sacrifici condivisi, le famose riforme. Tutto quello che i partiti hanno subito a malincuore in questi mesi e che da domani, cioè dopo il voto, dovrebbe diventare il fulcro della loro ritrovata azione di governo. Al momento ci sono poche speranze che questo possa accadere.
Può darsi che la riforma elettorale, se e quando vedrà la luce, sarà abbastanza virtuosa da imporre una rivoluzione nei comportamenti politici. Ma bisogna essere realistici. È molto difficile che uno strumento tecnico, magari in chiave neo-proporzionale, possa provocare una svolta epocale. Qualcuno pensa che la «grande coalizione» emergerà dall'impossibilità di formare maggioranze diverse nelle nuove Camere: ma se così fosse, se la prospettiva fosse la paralisi, gli italiani vivrebbero un terribile azzardo.
Sarebbe molto più logico e auspicabile che i partiti si riconoscessero fin d'ora nella cosiddetta «agenda Monti» come in un vincolo generale. Regole e contenuti accettati sia dal centrodestra sia dal centrosinistra. Senza dimenticare peraltro che nel prossimo Parlamento, specie se sarà figlio di uno schema proporzionale, troverà posto una cospicua rappresentanza di forze anti-sistema: Grillo, il Di Pietro incontenibile degli ultimi tempi, forse la Lega (se Maroni non riuscirà ad ammansirla). Con tutti i rischi connessi.
In altre parole, non c'è bisogno di aspettare le elezioni per parlare il linguaggio della responsabilità. Già oggi l'incontro del premier con i capi dei maggiori partiti potrebbe offrire interessanti indicazioni. Forse la «grande coalizione» sarà imposta dalle circostanze, ma sarebbe meglio che i partiti europeisti si preparassero fin d'ora a dar vita a maggioranze politiche prive di troppe contraddizioni interne. E, s'intende, con l'agenda montiana come inevitabile baricentro.
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