Ora Monti guida il Ppe in Italia. Con un ruolo politico ed elettorale

Dalla Rassegna stampa

La partecipazione di Mario Monti al vertice del Partito Popolare europeo a Bruxelles è uno di quei dettagli suscettibili di cambiare la storia politica di una nazione. In fondo Monti non è titolare (non ancora) di un partito o di un raggruppamento aderente alla famiglia dei popolari.
In passato ha manifestato la sua simpatia verso il Ppe, ma fino a ieri il suo profilo è stato quello che sappiamo: un "tecnico" autorevole, molto stimato in Europa, che governa da un anno su chiamata del capo dello Stato in una situazione di grave emergenza. Non una figura politica nel senso classico del termine.
Ora il quadro è mutato e ci sono due momenti che scandiscono tale mutamento. Il primo è l'annuncio delle dimissioni del governo, presentate da Monti al Quirinale dopo la sfiducia subita da Alfano su mandato di Berlusconi. È lì che prende forma il "nuovo" Monti come soggetto politico definito: un leader moderato, ancorché senza partito, che si qualifica lungo una linea di rottura con il berlusconismo morente, ma all'interno della cornice dei popolari europei.
Il secondo momento è appunto l'invito rivolto al premier italiano dal presidente Martens a partecipare al summit. Invito con uno scopo preciso: dimostrare a tutti che in Italia i popolari europei hanno un punto di riferimento che ovviamente non è Berlusconi, personaggio ormai messo ai margini. Il riferimento che colma il vuoto si chiama Monti ed è a lui che il più grande partito trasversale presente nel Parlamento di Bruxelles e Strasburgo chiede di fare del suo meglio per governare l'Italia anche in futuro. Con il consenso degli elettori, è ovvio. S'intende che questa mossa non sarebbe stata possibile senza il beneplacito, o meglio la spinta propulsiva della Germania di Angela Merkel. Perché il Ppe non sarebbe quel potente gruppo politico che oggi è se la sua spina dorsale non fosse costituita dai popolari tedeschi.
Così il cerchio si chiude. In una settimana scarsa Berlusconi ha messo in crisi il governo, ha accusato Monti di essere l'emissario dell'Europa "germanocentrica", ha tentato di sollevare un'ondata di euroscetticismo. E poi, in rapida successione, ha candidato Monti a leader dei moderati e si è presentato ieri a Bruxelles per essere mortificato dai popolari, lui che ha fondato uno dei partiti più forti del Ppe, nonchè per assistere al trionfo dell'uomo che si avvia a essere il capo dell'area moderata in Italia. In sostanza Berlusconi ha dovuto accettare e sottoscrivere la propria stessa uscita di scena.
Negli stessi giorni si è compiuta anche la trasformazione di Monti da "tecnico", si fa per dire, a politico a tutto tondo. Da ieri sera insignito del compito di rapprresentare in Italia le istanze del popolarismo europeo. Come dire che il dibattito sul futuro ruolo politico del professore è superato dai fatti. L'Europa, o almeno l'Europa che si è riunita a Bruxelles, vuole che in Italia si crei e si consolidi un'area ispirata ai valori del popolarismo. Un'area così in sintonia con il Ppe da noi non è mai esistita. Monti ora dovrà darle un'anima in tempi molto stretti, visto che le elezioni sono il 17 febbraio: per riuscirci dovrà volare alto, sopra i limiti e i vincoli dei partiti centristi esistenti. È chiaro in ogni caso che i popolari di Angela Merkel vogliono che il vuoto sia colmato. In nome della stabilità, certo; e sprattutto perché non desiderano che tutto il gioco in Italia sia determinato dalle sinistre di Bersani.

 

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