Ora Fini prepara l'agguato finale a Silvio

Dalla Rassegna stampa

 

Relax e dilemmi. Il day after Mirabello, Fini lo dedica a ricaricare le pile perché, confida ai suoi, «la giornata di ieri mi ha stremato. Sono distrutto, svuotato e ho bisogno di riposare un po'». Le tensioni di lunghi mesi si sono sciolte negli ottanta minuti di comizio a braccio e adesso si fa sentire la stanchezza. Si tappa in casa a Roma, il presidente della Camera, e riposa. Medita sulle prossime mosse e molti dubbi cominciano ad assalirlo. Davanti ai suoi supporters, domenica ha lanciato un messaggio a Pdl e Lega e proposto un patto di legislatura per tirare avanti fino al 2013. Ma l'accordo sembra poggiare sulle macerie. Fini ha distrutto il Pdl dichiarandolo «morto»; ha sputato sul fondatore del partito definendolo monarca, oracolo di Delfi, stalinista, uno che si genuflette in modo indecoroso davanti a Gheddafi, che tratta i parlamentari come clienti della Standa, insomma quasi il male assoluto.
Fini s'è detto pronto a concedere la fiducia sui cinque punti sui quali il premier tra qualche giorno si presenterà alle Camere ma ha anche assicurato il «sì» soltanto sui titoli (giustizia, fisco, federalismo, sicurezza, Sud, ndr). Sui contenuti si dovrà discutere, verificare, studiare, ragionare. Ovvio: la strategia rimane quella di rosolare il premier come già avvenuto in materia di intercettazioni e di spaccare l'assedi ferro tra il Cavaliere e il Senatùr. L'obiettivo reale è disarcionare Berlusconi, che Fini considera già bollito, e dar vita a un governo tecnico. Un esecutivo patacca retto da qualsiasi altra persona che non sia Berlusconi con, sulla carta, il mandato di fare poche, pochissime cose. Tra queste, stracciare l'attuale legge elettorale, il famoso porcellum, per farne un'altra più favorevole ai piccoli partiti. Cioè al suo Futuro e Libertà. La legge elettorale è il vero cavallo di Troia per il golpe. È l'unica colla capace di tenere insieme ciò che insieme non può stare. D'accordo ad affossare il porcellum, con quel premio dato alla coalizione che ottiene la maggioranza relativa dei voti, sono già in tanti: Di Pietro (Idv), Casini (Udc), Bersani (Pd), Bonino (Radicali-Pd), Marino (Pd), Poli Bortone (Io Sud), Rutelli (Api), Misiti (Mpa). Praticamente tutti tranne Lega e Pdl. Eccola qui la nuova maggioranza in Parlamento.
Certo, Fini dovrà poi spiegare perché ha assassinato il bipolarismo, con l'applauso interessato di Casini e Rutelli. Dovrà poi spiegare perché, nel fortino di Mirabello, ha escluso «ribaltoni e ribaltina» salvo poi esserne l'artefice. Questo il dubbio finiano. La gente, tuttavia, dimentica in fretta. E in fondo sarebbe una delle tante capriole fatte dal presidente della Camera. I suoi elettori ingoieranno pure questa pur di evitare l'unica cosa che Fini teme: il giudizio degli italiani. Soprattutto adesso.
Ora il suo partito è ancora un girino in attesa che diventi rana: i sondaggi lo davano al 10 per cento prima dello scandalo di Montecarlo ma poi è iniziato il tracollo. Alcuni parlano di un 6, altri del 3 per cento. Di sicuro, Fini non riuscirebbe a mandare in Parlamento tutte le truppe di cui dispone oggi. Con l'attuale legge elettorale non avrebbe di sicuro 34 deputati e, in Senato, rischierebbe addirittura di scomparire. Sarebbe, in sostanza, poco più di un brufolo. E le alleanze? Con chi potrebbe farle? A Mirabello Fini ha rimarcato il suo essere di destra. Ma se si andasse al voto subito con chi potrebbe fare un accordo politico? Con lo «stalinista» Berlusconi?

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