Opa ostile sul Pd

Dalla Rassegna stampa

Avversari interni, alleati o presunti tali, frondisti di destra e frondisti di sinistra, editorialisti. Nell’ennesimo processo al leader che si è aperto dentro il Pd dopo il voto regionale non mancano davvero i candidati al ruolo della pubblica accusa. E nemmeno i capi di imputazione: la presunta «dura» sconfitta, l’errore nella scelta dei candidati e degli alleati, l’assenza di una linea chiara. Ci sono già anche le prime richieste di condanna per Pier Luigi Bersani: si va dalla più mite richiesta di un chiarimento interno (così una lettera sottoscritta da 49 senatori del Pd) fino all’ingiunzione di scioglimento del partito («I partiti non servono più», arringa Nichi Vendola), passando naturalmente per le dimissioni.
Se si aspettano che « mi metta a inseguire chiunque ha da avanzare una critica si sbagliano di grosso», si è sfogato ieri Pier Luigi Bersani nel chiuso del suo ufficio al quartier generale democratico del Nazareno. «Cambiamento? Cambio di rotta? Ma sono io che lo voglio, è su questo che ho vinto il congresso». Un concetto che il segretario del Pd ha poi espresso più diplomaticamente intervistato dal Tg3: «Discutere sì, ma non guardarsi l’ombelico», ha detto, prima di spiegare che al Pd occorre «prendere il passo per radicarsi come grande partito popolare, del lavoro, della Costituzione e di una nuova unità del Paese. Il partito di un’alternativa a Berlusconi che in questo momento è in mano a Bossi».
Ma la questione del rinnovamento non è l’unica sulla quale sembrano essersi rovesciate le parti dentro al Pd. Il boicottaggio interno è l’altra. Nel febbraio 2009 Walter Veltroni ne fece la giustificazione principale delle sue dimissioni dalla segreteria. Ora è l’opposizione interna, di cui Veltroni è tra i leader, a subire la medesima accusa. Il tema lo ha sollevato Emma Bonino, accusando la minoranza del partito nel Lazio di aver remato contro la sua elezione alla presidenza del Lazio. In sostanza, gli ex popolari di Franceschini e Fioroni. Bersani non può dirlo, ma è d’accordo con Bonino e cita a riprova la battuta pronunciata da Beppe Fioroni all’ultimo coordinamento prima del voto: «Non so se ci conviene che la Bonino vinca».
Nel partito, dopo settimane di calma, si è insomma riscoperchiato un vaso di Pandora. La prima ondata di critiche è uscita fuori alla riunione del coordinamento dell’altra sera. Altre sono destinate ad accumularsi nei giorni a venire. Anche Antonio Bassolino, dal suo blog, ieri ha battuto un colpo: «Un brutto voto». Bersani non vuol rispondere direttamente agli attacchi, ma è convinto che il tiro incrociato sulla sua leadership abbia soprattutto lo scopo di sbaraccare il progetto del Pd, aprendo la via a nuove geometrie
politiche. E che per questo in molti si starebbero affrettando a sbarrargli per tempo la strada verso la candidatura alla premiership del 2013. Un obiettivo che Bersani non ha mai considerato scontato, ma che ha più volte pubblicamente detto di «non escludere». Tolto chi è andato all’attacco dell’ex ministro dello Sviluppo economico per insultare («Vada a lavorare», Beppe Grillo) o per fare satira («Dimettersi Bersani? E perché mai, dice di aver vinto le elezioni...», Ignazio Marino), tutti gli altri critici hanno subito virato sul tema della premiership 2013. Lo ha fatto Antonio Di Pietro, che ha già rispolverato toni aggressivi verso l’alleato: ««II Pd non ha raccolto le nostre proposte di rinnovamento sulle candidature». Il candidato per le politiche? «Non sarò né io né Bersani - dice l’ex pm - ma bisogna trovarlo entro il 2010». E sulle strategie per tornare a Palazzo Chigi si è soffermato anche chi, almeno in superficie, ha speso parole di difesa del leader, come il sindaco di Torino Sergio Chiamparino: «C’è stata una sconfitta, non una disfatta. Non apriamo una caccia al segretario. Ora bisogna costruire una posizione comune di identità e di indirizzo del partito per crescere le possibili leadership per il 2013».
Sul Fatto quotidiano è tornato in prima pagina il grido di Nanni Moretti a piazza Navona, nell’ormai lontano 2002: «Con questi dirigenti non vinceremo mai». Ma Bersani è rimasto soprattutto molto colpito dall’editoriale con cui ieri il direttore di Repubblica Ezio Mauro ha invocato, in vista delle politiche del 2013, un «papa straniero». Cioè un Prodi, qualcuno che estraneo al partito - possa assumere la direzione e la rappresentanza del centrosinistra, di fatto scavalcando il Pd. Bersani non vuol aprire un contenzioso pubblico sulla premiership: «Due settimane fa - ha spiegato a un amico - ho letto su Repubblica un pezzo in cui si spiegava che potevo essere il candidato del 2013, ora leggo che non vado più bene. Non mi pare l’ora di mettersi a fare i kingmaker».

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