"Onorevoli scelti dalla primarie"

Il Partito democratico non dà credito all’intenzione annunciata da Berlusconi già prima delle elezioni di aprire il dossier delle riforme costituzionali. Lo dice chiaro, proprio mentre è in corso il vertice ad Arcore con Bossi, Pierluigi Bersani: «Se ci azzardiamo a chiacchierare di riforme istituzionali per un anno e mezzo o due, il distacco col Paese si allunga». E’ del lavoro e della crisi che bisogna occuparsi subito, dice il segretario del Pd, allargando un sorriso sornione a Lilli Gruber della 7. E quanto a sempresidenzialismo alla francese e, a presidenzialismo all’americana, «ne ho sentite di tutte le razze, ma si rendono conto che per fare quei sistemi lì bisogna scaravoltare tutto, che servono i pesi e i contrappesi?». Tradotto: il Pd non vuol neanche sentir parlare di indebolire il ruolo del Parlamento. Perché «se pensano di vendere alla gente un presidenzialismo all’americana e poi invece finiamo in Sudamerica, non se ne parla». E siccome ogni riforma approda, e s’incaglia, sulla legge elettorale, Bersani dice pure che «questa che abbiamo (proporzionale senza preferenze, e con eletti "nominati" di fatto dai partiti n.d.r.) è un disastro. Se resta, noi del Pd per eleggere i parlamentari faremo obbligatoriamente le primarie». E lui, aggiunge, non esclude di candidarsi a premier nel 2013. «Ma è presto per parlarne»
Lo stato maggiore del Pd, diviso in materia di riforme istituzionali e anche di legge elettorale, su un punto è d’accordo: non è affatto detto che Berlusconi intenda fare le riforme, forse è solo un contentino alla Lega che punta i piedi per l’attuazione del federalismo fiscale. Soprattutto, insiste Bersani, «è il Parlamento il luogo per discuterne: si chiariscano le idee, e ce ne parlino lì». A partire dalle riforme che vanno sotto il nome di «bozza Violante», riduzione del numero dei parlamentari, uscita dal bicameralismo, senato federale, aumento dei poteri del presidente del Consiglio. Ma nel «wait and see» generale c’è anche chi considera che, aspettando di vedere le carte degli altri, bisogna anche elaborare una propria proposta. Che metta d’accordo le diverse anime del partito, e che trovi un filo con gli alleati. Massimo D’Alema ha preso l’iniziativa subito dopo le elezioni regionali incaricando, raccontano i suoi collaboratori, Giuliano Amato, che si è da poco espresso in favore del sistema tedesco ripudiando il presidenzialismo, di allestire un tavolo alla fondazione ItalianiEuropei.
Poi ha chiamato Casini, notoriamente anche lui favorevole al cancellierato e alleato strategico, perché tali sono i voti dell’Udc se Berlusconi volesse varare riforme a maggioranza, che ha dato subito la propria disponibilità , con la fondazione Liberal. Poi è stato coinvolto Franco Bassanini e la sua Astrid. Si tratta, adesso, di aprire il tavolo anche alle fondazioni di centrodestra.
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