In onda a Montecitorio il peggio della politica

Dalla Rassegna stampa

 

Se questa è la chiarezza, arridatece l'oscurità. Abbiamo passato settimane a dire che la politica doveva volare alto, che il passaggio in Parlamento era fondamentale per uscire dalla stagione dei ricatti e dei rancori, che l'aula sarebbe stato un lavacro democratico di tutte le nefandezze respirate in estate per colpa soprattutto dei giornali cattivoni, "ah quel Belpietro", "ah quel Feltri", "riportiamo il dibattito a un certo livello", "ridiamo la parola alla politica". E poi? Poi, finalmente, quando la parola passa alla politica, cioè quando si accendono i fari su Montecitorio, la risposta è un incrocio di insulti da osteria e piccoli sotterfugi, gente che alza la voce e gente che finge di aver perso la strada per non dover ammettere di aver perso la faccia, beghe da cortile, dichiarazioni da Ridolini e distinguo incomprensibili ai più. Avvicinare la gente alla politica? Con uno spettacolo così? Beh, sarebbe come pensare di avvicinare la Bellucci con una cena a base di bagna caoda...
E dire che Berlusconi ce l'ha messa tutta, dal canto suo. Al mattino ha fatto un discorso alto, ha cominciato citando Calamandrei, un riferimento ai "liberi e forti" di don Sturzo, poi l'applauso bipartisan per i militari, il principio di sussidiarietà, il quoziente familiare, il federalismo unificante. Non ha reagito agli ululati e ai boati della parte più scomposta dell'opposizione trattenendo a fatica, come ha detto lui stesso, le «battute pungenti» che altre volte gli sarebbero sicuramente scappate via senza freni. Non ha raccontato barzellette, non ha gigioneggiato, non ha ceduto alla tentazione di rovesciare il tavolo. Ha aperto con un omaggio al Parlamento e ha cercato di tenergli fede fino a sera, comprimendo gli istinti più "berlusconiani" dentro quel doppiopetto che a volte proprio per questo sembrava quasi sul punto di scoppiare... E la reazione del Parlamento di fronte a tale discorso "alto", in stile Onna 2009, qual è stata? Da Di Pietro la solita gragnuola di insulti per definire il premier (carica istituzionale) «stupratore di democrazia», «spregiudicato, anzi pregiudicato, illusionista», autore di «killeraggi», discepolo di «maestri di massoneria deviata», abile «solo a comprare il consenso dei parlamentari» e simile a «Nerone» che suonava l'arpa mentre Roma bruciava. Il presidente della Camera Fini è stato costretto (senza troppa decisione per la verità) a intervenire e a chiedere di moderare il turpiloquio: in fondo il dibattito andava in onda in diretta Tv in fascia protetta. Ma forse il Pd è stato più elegante? Macchè. I suoi esponenti hanno definito Berlusconi nell'ordine: «Frankestein» (Penati), «patetico» (Turco), «illusionista» (Fassino), «grottesco» (Finocchiaro), drogato «di Valium» (Follini) e «corruttore» (Rosi Bindi). D'Alema, dall'alto della sua credibilità conquistata a suon di fallimenti e barche a vela, ha dichiarato che il premier non ha «credibilità per fare appelli alla coesione nazionale», mentre Bersani ha detto a caldo che il discorso era incommentabile. Salvo commentarlo poi lungamente nel pomeriggio, con una concione incentrata sulle accuse all'«impresario del teatrino».
Alta politica? Fuori dalla stagione dei ricatti e dei rancori? Così? Mah. Fra l'altro l'intervento di Bersani, che attaccava a testa bassa Berlusconi, è stato molto applaudito dai finiani che invece non hanno applaudito l'intervento di Berlusconi. Poi però i finiani hanno votato la fiducia a Berlusconi (non a Bersani). Chiarezza parlamentare? Sgombrare il campo dalle ombre? Così? Mah. Il neonato gruppo di Futuro e Libertà, alla prima uscita pubblica importante, è riuscito nell'impresa di dividersi in quattro: i più hanno dichiarato voto a favore, però due hanno votato contro, uno si è astenuto e un altro si è smarrito nei corridoi di Montecitorio e non è riuscito a votare. Non riuscire a tenere insieme 30 parlamentari in un'occasione così importante è davvero un record da guinnes della comicità, superato solo da quei marpioni del Mpa di Lombardo che sono appena in cinque e non sono riusciti a mettersi d'accordo fra di loro. Imbattibili. A questo punto serve un sì o un no, diceva tutti nei giorni scorsi. A questo punto serve un sì o un no, ha detto il governo ieri. «Ci vuole chiarezza», scrivevano i giornali. «Faremo chiarezza», ripetevano i parlamentari. In effetti, si è visto. Due deputati non ce l'hanno fatta: sono stati colti da malore prima di spingere il pulsante, proprio lì sull'orlo della chiarezza. L'onorevole Misiti (Mpa) è sparito al momento del voto, l'onorevole Gaglione (Noi Sud) pure (chiamiamo Chi l'ha visto?). L'onorevole Granata (finiano) ha votato no dicendosi però d'accordo con il suo gruppo che ha votato sì, sostenendo che il suo era un voto simbolico (chiamiamo l'ambulanza?). L'onorevole Calearo ha trovato il discorso del premier «molto convincente», è andato a stringergli la mano però poi non gli ha votato la fiducia «per amore di Veltroni» (chiamiamo Peynet?). In effetti Calearo aveva anche detto che se il suo voto fosse stato decisivo avrebbe detto sì alla fiducia. Tradotto: Berlusconi ha ragione, ma posso appoggiarlo senza diventare l'ago della bilancia e nemmeno ministro? Si capisce: la chiarezza sarà pure un valore, ma mai come l'auto blu... La giornata si chiude così: Berlusconi, nel giorno del suo compleanno, cerca di far festa, gli altri cercano di fargli la festa. Ditemi voi se ci si può fidare di un gruppo di finiani che mentre votano la fiducia lanciano la minaccia di un nuovo partito, parlano di «inferno» e si dicono pronti ad aspettare il premier «al varco». Ditemi voi se ci può essere chiarezza in un Parlamento nei cui corridoi alcuni deputati smarriscono facilmente la strada e altri ancor più facilmente la logica. Ditemi voi se ci si può riavvicinare davvero alla politica dopo un dibattito che è partito per essere alto ed è finito con l'opposizione che urlava insulti e la maggioranza che usciva dall'aula...
Rita Bernardini (Pd-radicali) ha accusato il premier addirittura di aver favorito i suicidi nelle carceri, Francesco Pionati (Ade) ha annunciato il voto a favore del suo gruppo con un aulico: «Noi faremo, noi sosterremo...», dimenticandosi che il suo gruppo è costituito solo da lui (plurale maiestatis?). Ditemi voi se alla fine di una giornata così, quando si sente la Lega che commenta: «Meglio le urne» e il ministro Maroni già impegnato a fissare la data del voto, non ci si trovi a pensare che certo le elezioni sarebbe meglio evitarle, perché sono pericolose, rischiose, anche inopportune. Ma, in fondo non sono nemmeno così male. Se non altro sempre meno orribili di certi dibattiti parlamentari.

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