Ok alle scelte coraggiose Ma quali sarebbero?

Quello dell'altro ieri verrà ricordato come il martedì nero della Costituzione italiana. Il riferimento non è - come qualcuno potrebbe credere - alle dichiarazioni del Presidente del Consiglio, secondo cui la Carta non è un dogma e quindi non ha senso gridare allo scandalo se qualcuno pensa di modificarla. Se il Costituente ne avesse voluto prevedere l'immodificabilità, non vi avrebbe inserito, come ha fatto, la previsione dell'iter da seguire in tal caso. Bene dunque Berlusconi.
A rendere infausta la giornata dell'altro ieri ci ha pensato piuttosto Giorgio Napolitano, che ha accompagnato le banalità tipiche con cui si esprime ogni capo di Stato ("l'eccessiva durata dei processi mina la fiducia nella giustizia", ma va?) con un'affermazione sibillina quando ha detto che occorrono "scelte coraggiose che riducano i costi di gestione e che semplifichino le procedure" non siamo dinanzi alla solita aria fritta dalla flagranza istituzionale, quanto piuttosto ad una affermazione oscura ma che, comunque la si voglia intendere, sembra travalicare le attribuzioni dei Capo dello Stato.
Questi ben può permettersi di rammentarci che i processi hanno una durata eccessiva (non gli saremo mai sufficientemente grati per la rivelazione) ma auspicare "scelte coraggiose" è davvero senza senso. Che significa "scelte coraggiose"? Chi passa ogni tanto dalle nostre parti sa che per "scelte coraggiose" intendiamo separazione delle carriere, responsabilità civile dei magistrati, abrogazione della obbligatorietà della azione penale, soluzione dell'emergenza carceri, ecc. ecc.
È a questo che si riferiva il Capo dello Stato o ad altro?
Non solo, ma in ogni caso, suggerire una scelta, per quale che sia, sarebbe un comportamento che esula dai poteri del Presi- dente della Repubblica visto che, alla base di qualunque operazione di riforma si intenda applicare alla giustizia, v'è una precisa opzione politica. Ed infine: è proprio sicuro il Presidente della Repubblica che sia solo la lunghezza dei processi a rendere a dir poco scettici i cittadini riguardo l'efficienza del sistema giustizia? Mille volte abbiamo ricordato che ridurre il problema ad una questione di quantità di giustizia - senza tenere in debito conto la qualità del servizio prestato - è un controsenso, come peraltro gli elettori hanno avuto modo di urlare, ventitré anni fa, sommergendo di "sì" i referendum radicali con cui si chiedeva la fine del regime di impunità che vigeva per le toghe. Forse basterebbe iniziare a ricucire quello strappo per riavvicinare i cittadini al primo dei loro diritti: quello alla giustizia giusta.
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