Obama riceve il Dalai Lama "La Cina rispetti i diritti umani"

Un abbraccio tra duepremi Nobel per la pace, ma lontano dai media per non esasperare le reazioni della Cina. Ieri Barack Obama ha ricevuto il Dalai Lama alla Casa Bianca e ha espresso la sua solidarietà con la causa del popolo tibetano. Il presidente ha dichiarato il «forte sostegno» degli Stati Uniti «per la difesa dell`identità religiosa, culturale e linguistica, eper la protezione dei diritti umani dei tibetani nella Repubblica Popolare cinese». Ha elogiato la «via mediana» del leader spirituale buddista, un`etica della non violenza. Ha incoraggiato le «due parti», cioè il governo di Pechino e i rappresentanti tibetani esiliati a Dharamsala, a impegnarsi nel dialogo diretto per risolvere le differenze. Insieme, il presidente e il leader tibetano hanno concordato sulla «importanza della cooperazione fra Stati Uniti e Cina». Ma la Casa Bianca non esclude che Pechino possa reagire duramente, forse addirittura cancellando la visita del presidente Hu Jintao prevista a Washington in aprile. Nel testo di poche righe Obama ha ribadito un principio fondamentale: l`America non può ignorare il dramma del popolo tibetano la cui identità viene progressivamente «assimilata» sotto il rullo compressore dell`autorità cinese. Una tragedia riesplosa ancora di recente, nella primavera del 2008, con le rivolte di Lhasarepresse da un sanguinoso intervento militare. Obama si è intrattenuto per un` ora con il suo ospite, un lungo colloquio che gli ha consentito di valutare tutta la gravità della situazione in Tibet. Dal suo paese il Dalai Lama continua ad avere informazioni di primissima mano, nonostante sia in esilio dal 1959. Ma Obama ha potuto anche misurare la propria impotenza. Più che appelli al dialogo l`Americanon può fare. E anche questi, senza alzare troppo la voce, come si è visto ieri. Gli incontri tra esponenti di Pechino e rappresentanti del Dalai Lama sono ripresi di recente, Obama si
è detto «compiaciuto» di questo. In passato però quel tipo di dialogo si è rivelato una messinscena,
fumo negli occhi dell`opinione pubblica internazionale. Così era stato, per esempio, alla vigilia
dei Giochi di Pechino. Finché lo stesso Dalai Lama fu costretto a rinunciarvi, di fronte alla rigidità
dell`interlocutore cinese. Che continua a denunciare il leader spirituale come un terrorista, fautore del separatismo violento. In America invece il suo prestigio è elevato: i sondaggi gli attribuiscono
lo stesso livello di autorevolezza del papa. E un popolo cresciuto sotto il federalismo, come quello americano, non capisce perché Pechino non accetti di lasciare ai tibetani un ragionevole grado di autonomia. L`incontro di ieri è avvenuto in un momento delicato. I rapporti con la Cina, che pochi mesi fa sembravano avviati verso una proficua cooperazione (con sogni di G2), sono incappati in serie turbolenze. Il testo della dichiarazione di ieri è unconcentrato di equilibrismo diplomatico con cui Obamaha cercato di limitare i danni su più fronti. I danni subiti anzitutto all`interno degli Stati Uniti. Insignito anche lui del Nobel della pace (esattamente 20 anni dopo il Dalai Lama), il presidente americano ha deluso il suo "popolo di sinistra" sul tema dei diritti umani: da quel versante gli rimproverano di essere stato accondiscendente coi leader cinesi,
in occasione della sua visita a Shanghai e Pechino nel novembre scorso. Proprio allora, un
precedente progetto di visita del Dalai Lama a Washington era stato cancellato, in ossequio alla
Repubblica Popolare. Sul fronte economico, invece, i sindacati scalpitano perché l`Amministrazione
Obama non ottiene dai cinesi quella rivalutazione dellal oro moneta che restituirebbe margini di competitività all`industria americana. I falchi repubblicani lo incalzano perché dopo aver trattato con i guanti il presidente cinese Hu Jintao, non lo ha ancora convinto ad approvare le sanzioni contro l`Iran. Lo stesso Obama conserva un ricordo personale molto sgradevole dell`inflessibilità con cui la delegazione cinese contribuì afarfallire il vertice sul clima a Copenaghen. Dopo quello shock Obama ha avviato una dolorosa revisione della sua "dottrina cinese", ha indurito a sua volta i toni. Ma non vuole tirare la corda oltre misura. L`incontro di ieri era stato preceduto dalle denunce di Pechino contro le interferenze negli affari interni della Cina, e le minacce di «peggioramento» nelle relazioni bilaterali. Il cerimoniale della Casa Bianca ha fatto di tutto per
disinnescare la bomba. Il Dalai Lama non è stato ammesso nello Studio Ovale, come avviene per i
capi di Stato stranieri, ma solo nella Map Room, la stanza delle carte geografiche che ha un carattere più privato. E un`altra concessione simbolica fatta alla superpotenza cinese, che ai simboli dedica molta attenzione.
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