Obama a Pyongyang: "Basta minacce"

Il presidente Obama che osserva con il cannocchiale la Corea del Nord, dal posto di guardia Ouellette lungo il confine della zona demilitarizzata, è un’immagine d’altri tempi. È la Guerra fredda che non riesce ancora a finire, perché Pyongyang insiste con le sue provocazioni e la Cina non fa abbastanza per spingerla a cambiare politica. Preoccupazioni tornate al centro della visita che il capo della Casa Bianca ha fatto ieri alla frontiera tra le due Coree, alla vigilia del vertice di due giorni sulla sicurezza nucleare che verrà ospitato a partire da oggi a Seul. Al centro del tavolo, le dispute aperte con Pyongyang e Teheran, e la necessità di coordinare la gestione del rapporto con il nuovo leader nordcoreano Kim Jong Un.
Obama è arrivato in elicottero a Camp Bonifas, nella zona demilitarizzata, poco dopo le undici del mattino. Aveva addosso un giubbotto di pelle militare, e come i suoi predecessori Bush, Clinton e Reagan è andato a osservare il confine fortificato di un conflitto che formalmente non è ancora finito dal 1953, perché dopo la guerra le due Coree non hanno mai firmato un vero trattato di pace. Dall’altra parte le bandiere del Nord sventolavano a mezz’asta, perché ieri ricorrevano i cento giorni dalla scomparsa del leader Kim Jong Il, morto a dicembre per un attacco di cuore.
«Voi ragazzi - ha detto il presidente ai soldati in servizio - siete alla frontiera della libertà. Il contrasto tra Corea del Sud e del Nord non potrebbe essere più chiaro, e io non potrei essere più orgoglioso del vostro lavoro». Obama ha guardato quasi con stupore un paese che ha scelto di «perdere oltre cinquant’anni di sviluppo», e ora spesso non riesce a sfamare il suo popolo. Però continua le provocazioni militari, a cui il capo della Casa Bianca ha risposto con un monito: «I cattivi comportamenti non verranno premiati. Per decenni la Corea del Nord ha pensato che se agiva in maniera provocatoria, sarebbe stata compensata affinché desistesse dai suoi propositi. Io e il presidente sudcoreano Lee abbiamo deciso di spezzare questa abitudine».
Obama si riferiva all’ultimo trucco fatto da Pyongyang. Dopo la morte del padre, il nuovo e giovane leader Kim Jong Un aveva dato l’impressione di voler aprire al dialogo, offrendo di fermare i test missilistici e nucleari in cambio di aiuti alimentari. Poco dopo, però, era arrivata la doccia fredda, quando Pyongyang aveva annunciato l’intenzione di mandare in orbita un satellite a metà aprile, in occasione delle celebrazioni per il centesimo anniversario della nascita del nonno di Un, il Grande Leader Kim Il Sung. Il satellite verrebbe montato su un missile a lunga gittata, violando quindi le promesse appena fatte da Kim Jong Un. Il corpo del razzo Unha-3 è stato già portato nella base di lancio di Dongchang-ri e i preparativi sono in corso.
Le sfide della Corea del Nord e dell’Iran in teoria non sono incluse nell’agenda del vertice che Seul ospiterà a partire da oggi, per dare seguito a quello organizzato proprio da Obama nel 2010 allo scopo di favorire la denuclearizzazione internazionale. Gli oltre cinquanta paesi invitati discuteranno come prevenire che le armi finiscano nelle mani dei terroristi, ma il presidente americano ha già detto che solleverà la questione coreana con i russi, e soprattutto con il collega cinese Hu Jintao. L’abitudine di Pechino di «chiudere un occhio sulle provocazioni deliberate di Pyongyang ovviamente non sta funzionando», ha detto il capo della Casa Bianca, che nel bilaterale di oggi con il presidente della Repubblica popolare chiederà di esercitare più pressioni affinché il nuovo leader Kim Jong Un capisca che è venuto il momento di cambiare linea.
Stesso discorso per l’Iran, altro convitato di pietra del vertice, mentre Obama ha approfittato della presenza del premier turco Erdogan per discutere anche la situazione a Damasco. Proprio Ankara ospiterà il primo aprile il prossimo vertice degli «Amici della Siria», e i due leader si sono accordati per aumentare gli aiuti «non letali» agli oppositori, in attesa di nuove misure contro Assad.
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