Obama: «È l'ora delle scelte»

Dalla Rassegna stampa

WASHINGTON. L’attacco chimico contro la popolazione siriana, se fosse confermato come tale, sarebbe un «crimine contro l’umanità, una sfida alla comunità internazionale che avrebbe gravi conseguenze contro chi lo ha perpetrato». A due giorni dalla denuncia delle opposizioni siriane e dalle tragiche immagini del massacro, è il segretario generale dell’Onu Ban ki-Moon a tenere alto il pressing della comunità internazionale sul regime di Bashr al Assad, messo all’indice oggi dalla Gran Bretagna come il responsabile dell’odiosa strage. Scossa anche Washington dove, tra mille cautele, si torna a parlare di azione militare, seppure nell’ambito di un mandato delle Nazioni Unite. Il milione di profughi e soprattutto le terribili immagini dei bambini che si teme siano vittime del nervino hanno sconvolto il mondo e l’America. Tanto che Barack Obama, pressato dai falchi che da mesi spingono per un intervento armato, ammette alla Cnn che «è giunta l’ora delle scelte». Già ieri il conservatore Wall Street Journal ha soffiato sul fuoco, rivelando che il Pentagono sta già lavorando a op- zioni militari sul suolo siriano. Ormai da settimane, anche in seguito al bagno di sangue in Egitto, Obama si trova stretto in un angolo. Non solo la destra estrema ma anche un moderato come John McCain attaccano l’inquilino della Casa Bianca per la sua passività, per aver ridotto gli Stati Uniti al ruolo di spettatore, senza alcuna influenza in un Medio Oriente sempre più in fiamme.

Sono sotto gli occhi di tutti i tanti tentativi, tutti falliti, da parte della diplomazia americana e europea di trovare un’intesa, un cessate il fuoco, a Damasco, come al Cairo. Da qui la scelta del "Commander in Chief’ di reagire, dicendosi «molto preoccupato» di quello che sta accadendo in Siria e annunciando che saranno assunte decisioni chiave in un quadro temporale «piuttosto breve». Ma l’oggetto dello scontro è proprio quello: i tempi e la legittimità di un eventuale intervento. E su questi punti Obama mostra tutta la sua cautela: «Noi - osserva Obama - dobbiamo pensare, in modo strategico, su come difendere i nostri interessi nazionali a lungo termine». Quindi esclude nettamente ogni ipotesi di intervento unilaterale: «L’idea che gli Stati Uniti possano risolvere in qualche modo da soli la complicatissima crisi siriana è senza dubbio sopravvalutata. Se entriamo in azione e attacchiamo un altro Paese senza un mandato delle Nazioni Unite - osserva Obama si possono presentare dubbi sul rispetto del diritto internazionale. Per andare avanti dobbiamo lavorare con la comunità internazionale». Una prudenza che fonda le sue ragioni anche su questioni di politica interna. Tra pochi giorni, alla ripresa dell’attività parlamentare, la Casa Bianca sarà di nuovo al centro dello scontro con i repubblicani sul tema del bilancio statale. Così oggi, malgrado il massacro in Siria, Obama lancia un chiarissimo segnale ai contribuenti americani sulla sua volontà di non tornare a impantanarsi nell’ennesima guerra dai costi esorbitanti.

«Noi stiamo ancora spendendo decine di miliardi di dollari in Afghanistan», ricorda il presidente in modo esplicito. E altrettanto chiaro è il messaggio della Casa Bianca: non ci sarà alcun dispiegamento di forze armate di terra Usa sul suolo siriano. Insomma, come sintetizza bene il New York Times, l’amministrazione appare molto divisa tra chi spinge per l’invio di un messaggio duro ad Assad e di chi invece crede che un’azione militare ora non sia opportuna. In questo quadro, c’è attesa per l’operato sul campo degli ispettori Onu: «Stiamo lavorando perchè abbiano accesso ai luoghi interessati», ha detto il ministro degli Esteri Emma Bonino, mentre Ban ki-Moon continua a spingere per una «accurata e tempestiva» inchiesta: l’alto rappresentante Onu per il disarmo, Angela Kane, arriva oggi a Damasco per chiedere con forza al regime il libero accesso degli ispettori delle Nazioni Unite ai luoghi del presunto attacco. Intanto continua il dialogo diplomatico, seppure tra mille difficoltà. Il ministro degli Esteri russo Serghiei Lavrov e il segretario di Stato Usa John Kerry si sono sentiti al telefono.

 

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