O gesù o Cristo

Ebraismo e cristianesimo insegnano cose diverse, malgrado le aperture del Concilio Ha osservato Giovanni Paolo II che "chiunque incontra Gesù Cristo incontra l’ebraismo", Al di là di quel che un po’ enfaticamente dichiara, a un attento esame l’espressione contiene una ambiguità che ne rovescia e annulla totalmente il significato, quello che Wojtyla voleva far passare. Ho cercato di ruminarvi sopra qualcosa, proverò a esporre le risultanze. Prima, però, debbo fare un passo indietro. E dunque: circa un mese fa mi occupai della questione della cosiddetta eredità giudaico-cristiana, una endiadi che, sostengono alcuni, salderebbe in un’unica, condivisa tradizione le due religioni, superando di slancio una storia intessuta di divergenze, reciproche condanne e scomuniche piuttosto che di abbracci e sentimenti fraterni. Io sostengo che di questo concetto si debba dubitare, per una serie di ragioni. La prima è che esso nasce di recente, in ambito americano, per dare fondamento e giustificazione solenne alla forte presenza della cultura e religiosità ebraica in un contesto di per sé - nelle sue origini -non pacificamente aperto alla sua accoglienza e integrazione. La seconda ragione della mia diffidenza viene dal riconoscimento che i grandi insegnamenti professati dalle due religioni - gli "eschata" relativi al destino dell’uomo - non sono affatto sovrapponibili, neppure a un esame ben predisposto se non proprio corrivo; e neppure sulla identità profonda del Dio che esse dicono di condividere c’è concordanza di visioni e rappresentazioni: anche perché, osservo con un pizzico di malizia, una delle due quel Dio non lo rappresenta proprio e, mi pare, nemmeno lo nomina direttamente.
Siccome stiamo parlando di religioni l’argomento è centrale, non lo si può bypassare con un escamotage dialettico. Una gran massa di insegnamenti morali desumibili dalla Bibbia è partecipata con accenti non dissimili sia dall’ebraismo che dal cristianesimo nelle sue varie denominazioni; e tuttavia, nel suo complesso, quel libro viene interpretato in modo diverso, specie sul versante cattolico che pur ne condivide la formale lettura. Così come è vero che l’immaginario cristiano medievale era pieno, attraverso l’opera degli affrescatori di cattedrali e chiese, di riferimenti a una significativa tematica biblica, ma nemmeno questa constatazione serve a dissipare i miei dubbi. Un notevole riavvicinamento tra le due religioni - riavvicinamento fatto anche di confronto, discussione e "limatura" di questioni più o meno controverse - si è avuto con il concilio Vaticano II. "Gli ebrei e l’ebraismo non dovrebbero occupare un posto occasionale e marginale nella catechesi e nella predicazione, ma la loro presenza indispensabile deve esservi integrata in modo organico", credo sia un testo esplicito del Concilio stesso, Non sono un
esperto di concilio Vaticano II e non oserei metter bocca sull’argomento oggi, quando la rilettura - rilettura, in tutti i sensi - dello storico evento sta occupando intensamente la riflessione, la dottrina e
l’attività pastorale dello stesso Benedetto XVI. Mi limito dunque alla citazione appena riportata, che ritengo sufficiente per quanto serve alle mie osservazioni.
Dopo queste premesse, torno ancora alle parole di Giovanni Paolo II dalle quali ho preso le mosse. Wojtyla dunque sostiene, proprio nello spirito del Vaticano II, che "chiunque incontra Gesù Cristo incontra l’ebraismo". Ma, appunto, chi è il Gesù Cristo che si deve - si può - incontrare? Dove possiamo scorgerne il profilo, il volto reale, la storia autentica? La domanda si pone alla cultura da più di due secoli, da quando i testi e l’intera tradizione evangelica hanno cominciato ad essere sottoposti alla esegesi critica, filologica, ecc., con le stesse modalità di un qualsivoglia altro documento storico. Alla fine di questa lunga ricerca è venuta via via emergendo l’immagine di un Gesù profondamente ebreo, legato alla cultura ma anche alla fede del suo popolo. E’ la figura del "Gesù di Nazareth", di cui sembra sia impossibile scrivere una biografia attendibile ma di cui si possono - sempre a detta degli esegeti ricostruire i detti e i valori essenziali. E allora, ricapitolando: Woytjla ha parlato, con esplicita volontà, di "Gesù Cristo". Non di Gesù. E’ su questa differenza sottile che si fonda la principale divergenza tra le due fedi. Per gli ebrei c’è il Gesù di Nazareth, non può esservi Gesù Cristo. Il Cristo è l’Unto, e loro l’Unto lo attendono ancora. "Chi incontra Gesù Cristo incontra l’ebraìsmo": ma per l’incontro occorre varcare un confine più insuperabile del muro di Gaza. L’abbraccio è impossibile, ci si può solo salutare da lontano, agitando il fazzoletto. Per un laico attento alle questioni di metodologia storico/storiografica la questione è dì notevole interesse. Vi tornerò sopra, e presto.
Siccome stiamo parlando di religioni l’argomento è centrale, non lo si può bypassare con un escamotage dialettico. Una gran massa di insegnamenti morali desumibili dalla Bibbia è partecipata con accenti non dissimili sia dall’ebraismo che dal cristianesimo nelle sue varie denominazioni; e tuttavia, nel suo complesso, quel libro viene interpretato in modo diverso, specie sul versante cattolico che pur ne condivide la formale lettura. Così come è vero che l’immaginario cristiano medievale era pieno, attraverso l’opera degli affrescatori di cattedrali e chiese, di riferimenti a una significativa tematica biblica, ma nemmeno questa constatazione serve a dissipare i miei dubbi. Un notevole riavvicinamento tra le due religioni - riavvicinamento fatto anche di confronto, discussione e "limatura" di questioni più o meno controverse - si è avuto con il concilio Vaticano II. "Gli ebrei e l’ebraismo non dovrebbero occupare un posto occasionale e marginale nella catechesi e nella predicazione, ma la loro presenza indispensabile deve esservi integrata in modo organico", credo sia un testo esplicito del Concilio stesso, Non sono un
esperto di concilio Vaticano II e non oserei metter bocca sull’argomento oggi, quando la rilettura - rilettura, in tutti i sensi - dello storico evento sta occupando intensamente la riflessione, la dottrina e
l’attività pastorale dello stesso Benedetto XVI. Mi limito dunque alla citazione appena riportata, che ritengo sufficiente per quanto serve alle mie osservazioni.
Dopo queste premesse, torno ancora alle parole di Giovanni Paolo II dalle quali ho preso le mosse. Wojtyla dunque sostiene, proprio nello spirito del Vaticano II, che "chiunque incontra Gesù Cristo incontra l’ebraismo". Ma, appunto, chi è il Gesù Cristo che si deve - si può - incontrare? Dove possiamo scorgerne il profilo, il volto reale, la storia autentica? La domanda si pone alla cultura da più di due secoli, da quando i testi e l’intera tradizione evangelica hanno cominciato ad essere sottoposti alla esegesi critica, filologica, ecc., con le stesse modalità di un qualsivoglia altro documento storico. Alla fine di questa lunga ricerca è venuta via via emergendo l’immagine di un Gesù profondamente ebreo, legato alla cultura ma anche alla fede del suo popolo. E’ la figura del "Gesù di Nazareth", di cui sembra sia impossibile scrivere una biografia attendibile ma di cui si possono - sempre a detta degli esegeti ricostruire i detti e i valori essenziali. E allora, ricapitolando: Woytjla ha parlato, con esplicita volontà, di "Gesù Cristo". Non di Gesù. E’ su questa differenza sottile che si fonda la principale divergenza tra le due fedi. Per gli ebrei c’è il Gesù di Nazareth, non può esservi Gesù Cristo. Il Cristo è l’Unto, e loro l’Unto lo attendono ancora. "Chi incontra Gesù Cristo incontra l’ebraìsmo": ma per l’incontro occorre varcare un confine più insuperabile del muro di Gaza. L’abbraccio è impossibile, ci si può solo salutare da lontano, agitando il fazzoletto. Per un laico attento alle questioni di metodologia storico/storiografica la questione è dì notevole interesse. Vi tornerò sopra, e presto.
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