Il nuovo patto del Premier con Umberto: "Tu guidi le riforme, ma voglio la giustizia"

Dalla Rassegna stampa

Francia, Inghilterra o Stati Uniti? Presidenzialismo o premierato? A Silvio Berlusconi interessa poco il dibattito «accademico» sui vari modelli costituzionali. «Io sono una persona pragmatica. Mi basta che siano gli elettori a scegliere - ha ripetuto anche ieri sera al vertice leghista ad Arcore - e che il capo del governo abbia i poteri necessari a portare avanti il programma». Un Cavaliere inversione molto accomodante con la Lega, per nulla intenzionato -come invece speravano i suoi - a battere i pugni sul tavolo per "contenere" l’espansionismo del Carroccio. Bobo Maroni rivendica la guida del processo riformatore? «Ho dato a Bossi il ministero delle riforme spiegava ieri il premier prima dell’incontro -, non comprendo davvero il problema. La regia, se vogliono, già ce l’hanno».
A Berlusconi importa soprattutto la riforma della giustizia e su questa la Lega ha già promesso di suonare sullo stesso spartito. Il ministro Angelino Alfano ormai è pronto e Paolo Bonaiuti pronostica che il testo del governo «sarà presentato, se non nelle prossime ore, sicuramente a giorni». Su una cosa tuttavia il premier ha tenuto duro: il ministero dell’Agricoltura dovrà andare a Giancarlo Galan, il governatore messo alla porta in Veneto. «Umberto, a Galan glielo devo. I patti vanno rispettati». Niente da fare dunque per Enzo Ghigo, il forzista sponsorizzato dai leghisti, né per Federico Bricolo. «I due governatori del Nord - ragiona un coordinatore nazionale del Pdl sfogliando il manuale Cencelli - valgono 4 ministeri.
L’abbiamo spiegato a Bossi». Anche Berlusconi è convinto che «prevarrà la ragionevolezza: alla fine con Umberto ci siamo sempre venuti incontro». Così come sulla rivendicazione leghista del comune di Milano. Su questa partita milanese c’è anzi chi sospetta una raffinata manovra di Berlusconi e Bossi per impedire la ricandidatura di Letizia Moratti. Il premier (alle prese con la rivolta interna contro il sindaco) vedrebbe infatti di buon occhio le pretese leghiste in modo da poter poi avanzare, al momento giusto, un terzo nome di "mediazione".
È chiaro che questo rinnovato asse di Berlusconi con Bossi dentro il Pdl viene più subìto che accettato. Anche sulla titolarità della proposta da cui si partirà per le riforme è già una gara a chi arriva prima. Il Pdl, dopo mesi di stasi, improvvisamente si è messo a correre: già oggi, all’ufficio di presidenza del partito, Gaetano Quagliariello presenterà un ventaglio di ipotesi (preferenza per il modello Westminster). Ma il ministro Roberto Calderoli punta a intestare al governo la paternità del testo su cui aprire il dialogo con l’opposizione. «Finora confida Calderoli - su tutti i provvedimenti si è partiti con un testo del governo e un mese fa Berlusconi ha incaricato me di saggiare il terreno in Parlamento». Proprio ieri sera, nel salotto di villa San Martino, Calderoli ha riferito su questi «sondaggi», compresi i colloqui avuti con alcuni esponenti del Pd e dell’Udc. Quanto alla legge elettorale, a Berlusconi piace quella che c’è. E nemmeno la Lega scalpita per cambiarla: «Si vedrà. Prima si sceglie la casa - afferma Calderoli e poi le tende».
Un altro problema rimasto fuori dal summit di Arcore è quel- lo del rapporto con Fini. Il presidente
della Camera domani lancerà, con un convegno di Farefuturo, il semipresidenzialismo alla francese. Ma Bobo Maroni ci ha già messo il cappello sopra. Silvio Berlusconi non sembra così ansioso di incontrarlo, tanto che il previsto faccia a faccia oggi non ci sarà. Al finiani questo trattamento non piace affatto. Così come non piace agli ex An il rapporto privilegiato che il premier, a dispetto di tutto, continua a intrattenere con Bossi: «Non può essere la Lega - osserva il ministro Andrea Ronchi - l’asse portante delle riforme: se così fosse verrebbe meno la stessa ragion d’essere del Pdl. Berlusconi, invece di pensare di allargare all’Udc, deve comprendere che il Pdl è un tandem tra lui e Fini. E per funzionare occorre che si parlino prima Berlusconi e Fini e poi vadano a trattare con la Lega». Altrimenti? «Se continuiamo a giocare di rimessa, prima o poi ci troveremo un leghista non solo a Milano ma anche a palazzo Chigi». Che sia proprio questo il progetto del Cavaliere?

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