Nuovi contratti e formazione per "salvare" i precari

Dalla Rassegna stampa

«Uniformare i contratti fra i lavoratori a tempo indeterminato e i precari», suggerisce Tito Boeri, docente di economia all'Università Bocconi. No, meglio spingere su crescita del Pil e formazione professionale, replicano sia Fiorella Kostoris, ordinario all'Università La Sapienza, sia Michele Tiraboschi, direttore del centro studi «Marco Biagi».
Sono impostazioni divergenti quelle emerse ieri sera all'Università Bocconi nella terza «Conversazione sull'economia» che, coordinata dall'editorialista del Corriere della Sera Dario Di Vico, si è tenuta nell'ambito del forum su «Economia e società aperta» organizzato dall'ateneo milanese e dallo stesso Corriere. Quel che è certo è che i lavoratori -«flessibili» (un termine altrettanto improprio che «precari», nel quale confluiscono contratti «atipici», a tempo determinato, Co.co.pro., autonomi e via elencando) stanno pagando la recessione molto più di altri. A fornire i numeri ci ha pensato lo stesso Boeri: se fra il 2007 e il 2oo9 il tasso di disoccupazione in Italia è salito dal 6,i°ro all`8,6%, il 78% di chi ha perso l'impiego è un lavoratore precario. «Per loro - ha spiegato - la possibilità di restare senza lavoro è 8 volte superiore rispetto a chi ha un contratto a tempo indeterminato». Se poi si declina il dato in funzione dell'età, allora si scopre che la disoccupazione giovanile è salita negli ultimi due anni dal 18% al 27%.
Una percentuale che non ha confronti in Europa. Come se ne esce? Quella indicata da Boeri è una exit strategy che «affronti contemporaneamente le tre dimensioni del problema»: innanzitutto occorre fissare un salario minimo valido per tutti, allo stesso modo va introdotto il sussidio unico di disoccupazione, applicato sia ai «regolari» sia ai «precari». Infine, serve un cambio delle regole di accesso al lavoro: Boeri parla di contratto unico a tempo indeterminato, con tutele progressive nella fase di inserimento. «Questo incentiverebbe le aziende a fare più formazione professionale - spiega - e renderebbe poi più difficile per la stessa azienda fare a meno di personale che ha ormai un adeguato livello professionale».
Per Kostoris, invece, non è questione di riforme contrattuali.
«Le vere garanzie per i lavoratori atipici vengono dal grado di "impiegabilità" che possono avere altrove e dal tasso di crescita dell'economia», spiega. In altri termini, la difficoltà di mantenere l'impiego è legata all'inadeguato corredo professionale e al lungo ristagno economico che L'Italia ha vissuto anche prima della crisi attuale. Più o meno sulla stessa linea anche Tiraboschi, secondo cui il vero «dualismo contrattuale» esiste semmai fra l'economia «regolare» e quella
sommersa, che rappresenta secondo l'Istat circa il 26% del totale, e che per questo fa «dumping» rispetto a quella «emersa».
Ma fra i vizi italiani, Tiraboschi, che pure è consulente del ministro del Welfare, mette anche "il continuo discutere attorno a tematiche contrattuali, come l'articolo 18, anziché aggredire i problemi veri".

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