I nostri errori

Dalla Rassegna stampa

Se avessimo vinto nel Lazio e in Piemonte sarebbe stata un’altra musica. E lì si poteva vincere. Rosy Bindi dice che in Calabria e in Campania ci siamo fatti male da soli. Non solo lì, per la verità. Vorrei che nel partito adesso si aprisse una riflessione seria.
Una riflessione senza alcun spirito di resa dei conti (ne abbiamo avute già troppe) per discutere di noi, soprattutto di noi, cioè della nostra esigenza di buttare alle ortiche gli occhiali del passato con cui siamo soliti leggere i problemi del presente. Non mi pare il caso di piangere troppo sulle liste Grillo in Emilia Romagna e in Piemonte: se li hanno avuto successo vuol dire che c’era lo spazio. Né consolarci dicendo che i voti del Pd questa volta sono molti di più perché occorre aggiungere i voti delle liste del presidente che - lo sappiamo bene - solo in parte hanno raccolto dal nostro elettorato. Insomma non mi piace che troviamo sempre giustificazioni a tutto per non parlare mai dei nostri problemi, dei nostri errori, che saranno stati pure pochi, ma sono stati importanti.
E così torniamo al Lazio e al Piemonte. La candidatura della Bonino e della Bresso (non si dica più che non c’erano alternative, perché sono pronto a fare nomi e cognomi), in sé assolutamente rispettabili e anche prestigiose, in questo momento, per quel posto, sono state un errore. Una parte consistente dell’elettorato cattolico " riformista" non ha gradito, anzi le ha considerate una provocazione.
Certo nella sinistra non ci sono soltanto i cattolici, i quali anzi sono verosimilmente una - seppure consistente - minoranza e, dunque, non possono pretendere di avere solo candidati graditi a loro. Per i cattolici vale ciò che vale per tutti. Quanti candidati che non erano sentiti "sangue del proprio sangue" si sono dovuti subire ad esempio gli elettori che un tempo votavano Ds, a partire da Romano Prodi?
È vero. Anche se pure allora si determinarono fughe nell’altra direzione. Ci sono infatti candidati più graditi, altri meno graditi, accettabili o ritenuti meno accettabili o, addirittura, una provocazione. I candidati soprattutto quelli a ruoli monocratici dovrebbero essere sempre valutati per ciò che sono e per come vengono percepiti.
Paola Binetti, ad esempio, quand’ancora era iscritta al Pd, pur essendo donna di valore (ha dimostrato in Umbria dove ha preso più consensi della sua lista) non si sarebbe potuta candidare a tale ruolo perché il suo "percepito’ in una parte rilevante del nostro elettorato non l’avrebbe consentito. E quando mai si è potuto ritenere che Emma Bonino non avrebbe determinato una reazione uguale e contraria?
Proprio gli eventi che avevano investito la precedente giunta laziale avrebbero dovuto consigliare una candidatura che " facesse il pieno" dei consensi potenziali del Pd. Spero che l’analisi del voto cattolico che il partito dovrà pur fare non indulga a grossolanità o anche a semplificazioni da bar. Non è stata, infatti, la prolusione del cardinal Bagnasco all’ultima assemblea della Cei a spostare nel Lazio parte dell’elettorato cattolico verso l’area dell’astensione o quella della Polverini, ma il "percepito" della candidatura Bonino, ritenuta nello stato d’animo profondo del cattolico praticante come il simbolo (non è in discussione l’onestà e la coerenza) di un’alterità, di un antagonismo morale e culturale a ciò che storicamente ha rappresentato e rappresenta la tradizione cristiana in questo paese. Mi chiedo ancora come si sia potuto commettere l’errore di ritenere che, poiché normalmente "i cattolici votano come gli altri cittadini", potessero accettare anche questa oggettiva provocazione?
Riconosco che per la Bresso il discorso è più complesso. La Bresso, infatti, era già stata votata la volta precedente e la sua esposizione simbolica sulle tematiche laiciste, per quanto in questi anni sia stata notevole, non era comunque analoga a quella della Bonino, analoga no, ma comparabile sì.
Eppure la candidatura della Bresso questa volta è stata percepita (da una parte oggettivamente minore di elettori) in una sorta di sinergia con quella della Bonino: dove sarebbe andato a finire il Pd con due governatrici regionali di tale personalità e autonomia?
Capisco benissimo che per una parte rilevante del partito si tratti di un interrogativo mal posto o non rilevante, anzi, si può persino ritenere che il problema fosse proprio quella di imprimere attraverso queste candidature una svolta anche identitaria al partito. Per ciò è stata fatta questa scommessa. Però la scommessa non è riuscita. Dobbiamo prendere atto che l’elettorato cattolico, che pure non esiste come ceto sociale strutturato, questa volta ha dato segni di reazione. Una reazione solo in parte organizzata. Si è trattato più di un "ritrovarsi a memoria", uti singuli, come stato d’animo,che di una vera e propria iniziativa preparata. Probabilmente sono anche stati non moltissimi, ma sufficienti a farci perdere.
E peraltro, il ritorno per certi versi a una forma tradizionale del partito ancorata al territorio, impegnata sul tema dominante del diritto al lavoro, come vuole Bersani, dovrebbe aiutarci in un certo senso anche a liberarci da una certa subalternità culturale a forme superate di presunto progresso e di discutibile umanizzazione della vita, come sanno fare ancora oggi partiti veramente popolari, meno ideologici, ma più capaci di sentire e interpretare lo stato d’animo di tutte le parti dell’elettorato che loro interessa. Per vincere bisogna reimparare a fare così, cioè a capire come stia cambiando l’antropologia elettorale del paese. Altrimenti la prossima volta avremo problemi anche in regioni un tempo roccaforti, come l’Emilia Romagna ad esempio. Ma qui s’impone anche un altro tema, quello dell’avanzamento della Lega e di un certo dissenso contestatorio nei "nostri" territori, di cui occorrerà parlare separatamente.

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