Non voleva mollare ma proverà a tornare

Dalla Rassegna stampa

La lista dei ministri che nel passato furono costretti a lasciare prematuramente l’incarico è lunga. A farli sloggiare di solito erano le crisi di governo, ma non pochi fecero le valigie per incidenti di percorso che pregiudicavano la permanenza nelle importanti funzioni. A memoria non si ricorda però di nessuno cui sia capitata la disavventura di doversi dimettere due volte per grane come quelle di Claudio Scajola. Anche in questo l’ormai ex ministro dello Sviluppo economico può dunque fregiarsi del primato. Non solo fu il terzo Scajola a diventare sindaco della sua città, Imperia, poltrona abbandonata in seguito a un arresto che a chiunque avrebbe troncato la carriera. Non solo è stato il primo nazionale di Forza Italia, potentissimo ruolo che non ha diviso con nessuno e lo ha spinto ancor più in alto. Ora è anche il ministro più trombato della Repubblica. Sciaboletta, come con disprezzo lo chiamano gli avversari ironizzando sul piglio marziale e la bassa statura, a questo passo non avrebbe mai voluto arrivare. Dopo essersi dovuto dimettere nel 2002 da ministro dell’Interno, in seguito a una frase su Marco Biagi, Scajola era stato costretto a un anno di purgatorio prima di poter rientrare al governo dalla porta di servizio, quella di responsabile dell’Attuazione del programma.
Anche quando gli capitò il precedente infortunio cercò di resistere, aspettando che passasse la buriana. Ma dal giorno in cui il Corriere della Sera e il Sole 24ore uscirono con la conversazione da bar in cui dava del rompicoglioni all’economista ucciso dalle Br, la bufera anziché placarsi aumentò. Dal 30 giugno al 4 luglio puntò i piedi e a nulla valsero i consigli di Silvio Berlusconi, che convocatolo a Palazzo Chigi cercò di farlo ragionare.
Alla fine, dopo una notte insonne e la minaccia di Gianfranco Fini di votargli contro, Scajola si rassegnò a farsi da parte, promettendo a sé stesso che d’ora innanzi avrebbe misurato le parole.
Rientrato alla grande, con un incarico importante come quello di responsabile dello Sviluppo economico, Scajola si è mosso in silenzio ma con abilità, tanto da riguadagnare la fiducia del capo, il quale negli ultimi tempi accarezzava l’idea di rimettergli in mano il partito, soprattutto nei giorni in cui Verdini vacillò a causa dell’inchiesta di Firenze. Dimenticato l’infortunio del 2002, il ministro era convinto d’aver davanti a sé la strada spianata, senza alcun rischio di sbandata. E invece l’incidente è arrivato quando
meno se lo aspettava e quando più si sentiva forte. La casa, i rapporti con Anemone e Balducci, i soldi. Alcuni dicono che sia inciampato per eccesso di sicurezza, i più cattivi invece che dei democristiani abbia
ereditato solo la baldanza, non la furbizia. Fatto sta che anche stavolta Scajola ha provato a resistere, convinto che tutto s’aggiusta se si ha pazienza. Prima ha pensato che bastasse una posizione ferma, con un comunicato. Poi che le interviste ai giornali potessero sgonfiare il caso, consentendogli di prendere tempo e capire a che punto fosse l’inchiesta della Procura di Perugia. Ancora domenica mattina Scajola confidava nel fatto che la stampa si distraesse con altre notizie e lo facesse rifiatare.
Lunedì pomeriggio le dichiarazioni di Anemone, che smentiva d’aver mai pagato l’acquisto dell’appartamento ministeriale, lo avevano rinfrancato un po’, inducendolo a salire sull’aereo per Tunisi, dove lo aspettava un incontro bilaterale. Era convinto di farcela, di potersi salvare col trasferimento
dell’inchiesta per legittima incompetenza dei magistrati umbri. Con pm meno prevenuti sarebbe riuscito a spiegare come erano andate le cose e dimostrare di non aver nulla di cui vergognarsi. Ma nella notte tra lunedì e martedì è stato chiaro che non c’era nulla da fare se non lasciare e così ieri uno Scajola rassegnato si è presentato ai giornalisti, congedandosi con poche frasi: sconfitto, ma non vinto. Già, perché la sua non è una resa. Chi credesse che questa rappresenti la sua definitiva uscita di scena si sbaglia.
L’ex ministro fa le valigie, ma sogna di tornare e di ricominciare così come gli capitò nel 2003. Insegue un altro primato: quello del ministro che risorse tre volte. Bisogna vedere se glielo lasceranno conquistare.

© 2010 Libero. Tutti i diritti riservati

SEGUICI
SU
FACEBOOK