Non si fa giustizia con la pena di morte

Il regime di Gheddafi è ormai agli sgoccioli, nonostante gli ultimi disperati, farneticanti tentativi di resistere, con rappresaglie e relativo spargimento di sangue, da parte del despota libico. La diplomazia internazionale, inerte in un primo momento, si sta scervellando su come risolvere la situazione libica nel modo più incruento possibile. Si parla di Tribunale dell'Aia per il Colonnello, Obama paventa l'ipotesi di esilio, non specifica però in quale paese. È evidente che Gheddafi vada processato per i crimini perpetrati ai danni del popolo libico e, detto fra noi, a sorta di risarcimento morale per come ha cacciato via gli italiani nel corso della rivoluzione che lo ha portato al potere. Il rischio di questi momenti è il fondamentalismo giustizialista, ovvero che in Libia prenda il comando una formazione politica che voglia rendere la pariglia al tiranno, processandolo nel proprio paese dove, si sa, vige la condanna a morte. Il rischio è molto forte che Gheddafi faccia la fine di Saddam se la diplomazia internazionale non si muoverà velocemente per risolvere la situazione. Il sangue versato dalla morte di un dittatore non lava le coscienze e non risarcisce le vittime dell'aguzzino. Nel corso della storia abbiamo dovuto assistere alla vergogna di Piazzale Loreto, episodio caro solo a certa sinistra forcaiola, e l'uccisione da far west di Saddam Hussein. Alla tirannia non si risponde con la violenza ma con la civiltà, infliggendo al despota la durezza del carcere a vita, costringendolo a pensare ogni giorno ai propri crimini. Nel caso di Saddam venne fatta la proposta di esilio, sostenuta a gran voce da Marco Pannella, ma con l'esito che conosciamo. Auspichiamo con forza una pacifica risoluzione della situazione libica, sostenendo ogni tesi che non preveda il processo in Libia per il Colonnello Gheddafi, non faremmo che continuare a scrivere pagine di storia macchiate di sangue, sebbene di tiranno, ma comunque sangue che rimarrebbe indelebile nella memoria di tutti.
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