Non se ne vogliono andare

Dalla Rassegna stampa

Fatico ad appassionarmi al dibattito sulla legge elettorale. Non me ne sfugge l’importanza e credo di avere colto persino io le differenze fra il Porcellum e il Provincellum, oltre alle meraviglie del modello israeliano purché corretto alla norvegese con una spruzzata di spagnolo. Il problema è che ad applicarlo saranno sempre i politici italiani. Ai quali dell’efficienza del sistema interessa fino a un certo punto. Ciò che li ossessiona davvero è trovare un modo per non perdere il posto, sottraendo agli elettori la scelta degli eletti e alla base dei partiti quella dei candidati.

Osservata da fuori, la pantomima sterile di queste settimane non è solo l’ultimo rantolo di una corte di parassiti, chiusi nel castello dei propri privilegi e insensibili al dramma cupo che si sta consumando sull’altra sponda del fossato, nelle famiglie dove lui è cassintegrato, lei esodata, i figli disoccupati e la seconda rata dell’Imu incombente. Appare come la dimostrazione plastica dell’impotenza di un ceto politico mediocre che non accetta nemmeno come ipotesi l’idea di andarsene a casa. Dall’inizio del governo Monti hanno avuto nove mesi per recuperare l’onore perduto con un gesto qualsiasi di buon senso, quale per esempio sarebbe stato il dimezzamento del numero dei parlamentari. Ma se non riescono a risolvere in tempi rapidi e in modi decenti nemmeno le questioni che li riguardano da vicino, tremo all’idea di cosa potrebbero combinare, anzi non combinare, il giorno in cui venisse loro riaffidata la gestione di uno Stato.

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