Non sa chi sono io

Dalla Rassegna stampa

Sarà il ritorno al posto fisso, auspicato dal ministro Giulio Tremonti, a liquidare l’individuo e le sue fortune, già scosse dalla crisi della globalizzazione? Temiamo che andrà così, e allora non resterà che piangere per come è stato breve, insignificante, inconsistente il suo passaggio nei cieli della cultura, nei labirinti della politica, sui tavoli da ping pong dei dibattiti tra fede e ragione. Grazie al posto fisso si chiuderà anche l’era dei superomismi nicciani o stirneriani, gli ipertrofismi dell’individuo cui sono state addebitate tutti i mali, le cadute, i tramonti dell’Occidente col suo nichilismo e la morte di Dio. Ma perché meravigliarsi? Il posto fisso è l’eterna matrice dell’uomo-massa senza personalità, ignavo e neghittoso, quello che sa che, qualunque cosa gli si possa imputare, tanto il 27 lo stipendio non glie lo toglie nessuno. In lui, nessuna velleità imprenditoriale, nessun desiderio di opportunità da cogliere al volo, nessuna sfida alla piattezza dell’esistente, niente più insomma dell’individuo pronto a rivoltarsi, con un pizzico di supponenza prometeica, contro le regole, il potere, la società intera, per affermare il suo destino, o solo per scalare i gradini del successo nella sfida meritocratica: “pochi, maledetti e subito”, è il motto inciso a caratteri d’oro sull’ingresso dei falasteri statali o parastatali nei quali vegeta l’uomo del posto fisso, della carriera per anzianità. Il suo ritorno segna anche la sconfitta delle partite IVA, dei padroncini del nord-est, dei distretti dove nei week end e a Natale si lavora, in nero, mettendo alle macchine lo sloveno arrivato venerdì sera col pullman che lo riporterà all’alba di lunedì a Lubiana, oppure l’extracomunitario per il quale non c’è festa da santificare. Il ritorno del posto fisso è il trionfo del sud, della laurea in legge piuttosto che in matematica o biologia, del “dotto’”, del “lei non sa chi sono io”, del “chi me lo fa fare?”, dei centomila in concorso per tre posti al Comune o alle Poste. Il posto fisso è il delirio della raccomandazione, che nel sud non è colpa o reato ma gloria, vanto, segno di potere e di sottopotere. E’ infine l’eterno sogno di ogni mamma trepidante e nastratrice. Insomma, il ritorno dell’Italia più autentica. In questi giorni si dibatte come celebrare degnamente l’identità italiana, quella nata non si capisce se con Dante o con Porta Pia: suvvia, si celebri la festa del posto fisso.
 
Voi direte: che c’entra questo con la laicità? C’entra, eccome. Tremonti sostiene che il posto fisso è garanzia della stabilità della famiglia, con la moglie a “rinnacciare” i pedalini e il ritorno dei figli ad una educazione angusta ma sicura, niente più paghetta e dunque niente più droga, niente più sballo del sabato sera, niente più rave-party. Il posto fisso è il ritorno all’etica della rinuncia, l’etica della tradizione, della famiglia legata agli orari del consorte, al suo ritorno a casa a mezzogiorno per un piatto di pastasciutta, niente più insalata preconfezionata, tramezzino o panino ingollato in piedi perché l’individuo in fregola di competizione non può permettersi pause, relax di sorta. Il richiamo alla famiglia è l’astutissima trovata con la quale Tremonti rinsalderà i buoni rapporti con il Vaticano, sbocciati con il rilancio dell’etica negli affari e l’abbandono dell’ossessione del profitto. Ma anche i cattolici più sofisticati saranno entusiasti del neofamilismo tremontiano. Da tempo costoro stavano lambiccandosi per trovare una risposta teorica capace di colpire al cuore l’individualismo illuminista, e per non ricadere nell’abusato e provinciale Toniolo eccoli scoprire il neocomunitarismo americano, la filosofia della solidarietà di Charles Taylor, l’antiliberalismo di Böckenforde, certi ripensamenti di Habermas e così via. Tremonti li anticipa e li supera d’un balzo offrendogli un prodotto per nulla sofisticato, adatto a tutti gli ascoltatori, a tutte le audiences: l’elogio dell’immortale posto fisso. 
 
Per noi incalliti laici individualisti, invece, è l’addio a Marc Augè, ai non-luoghi dove il mio io, anonimo, senza volto, si incontrava con l’altro e scopriva la propria identità nelle rapide fuggevoli occhiate e parole scambiate, nel leggero contatto. Fine di tutto questo: col ritorno al posto fisso, ciascuno si chiuderà nella propria identità non più posta a repentaglio, non più fuggevole, e potrà rimettere in circolazione il “lei non sa chi sono io”, italico sempiterno surrogato, ersatz, delle frustrazioni del travet fantozziano. Nel contempo, le ultime partite IVA del Nordest, sconfitte, irrise e additate al pubblico ludibrio, strette senza speranza tra Tremonti e Bersani, abbandoneranno per sempre l’utopico sogno di disfarsi dell’Art. 18, la grande battaglia perduta dei liberisti italiani.

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