Noia e inquietudine nello stesso clima descritto da Moravia

Ho scoperto i manoscritti scompaginati del romanzo di Mario Pannunzio Occhio di marmo nel Fondo depositato all'Archivio storico della Camera dei deputati, in mezzo alle carte che stavo consultando per preparare la biografia pubblicata nel 2010 da Mondadori: Pannunzio. Dal «Mondo» al Partito radicale, vita di un intellettuale del Novecento. Mi sono subito reso conto di avere fatto una scoperta straordinaria, se non altro sul piano storico-culturale, perché quell'opera giovanile, nota agli amici dell'epoca, Nicola Chiaromonte e Alberto Moravia, era stata da sempre data per scomparsa e non era classificata nel Fondo come romanzo. Del resto, anche per l'opinione pubblica più acculturata, la memoria di Pannunzio restava legata all'attività giornalistica e politica di prestigioso direttore di «Risorgimento liberale» (quotidiano, 1944-47) e del «Mondo (settimanale, 1949-66), oltre che di leader liberale e radicale sostenitore della terza forza laica. Era stata invece lasciata del tutto in ombra la vita del giovane intellettuale, che tra i venti e i trent'anni si era cimentato con intelligenza e passione in svariate attività: pittore (presente alla prima Quadriennale di Roma nel 1932), scrittore, regista cinematografico, giornalista dalle molteplici competenze, critico letterario e artistico. Il ritrovamento del romanzo, datato all'incirca dalla metà degli anni Trenta, acquistava così un significato non solo come testimonianza diretta del clima ambiguo e sciroccoso della Roma che aveva ispirato Gli indifferenti di Moravia, ma anche quale contributo all'autobiografia di un precoce anticonformista alla ricerca di un'identità morale fuori dalla routine familiare e sociale. Ma nel romanzo si può leggere anche qualcos'altro, che riguarda il culmine del fascismo: l'ansia della generazione cresciuta negli anni Venti e Trenta, e definita «afascista», che rifiutò il coinvolgimento nel regime mussoliniano, pur non facendo parte della minoranza antifascista militante. Solo durante la guerra, il giovane umanista, nutrito di cultura liberaldemocratica e di particolare affetto per Croce e Tocqueville, attraversò la frontiera che lo separava dall'antifascismo, finendo tra l'ottobre 1943 e il febbraio 1944 incarcerato a Regina Coeli, da dove uscì pochi giorni prima dell'eccidio delle Fosse Ardeatine. Il romanzo, composto da 17 capitoli, alcuni dei quali trovati in più versioni manoscritte oltre che nel dattiloscritto finale, è stato ricomposto e ordinato secondo il filo autobiografico che va dal primo capitolo, che narra l'infanzia nella villa di famiglia a Vallebuia in Lucchesia, all'approdo a Roma nel periodo di espansione del nuovissimo quartiere Prati, fino alla parte conclusiva in cui due persone (probabilmente Moravia, oltre a Mario) interrompono le consuetudini amicali della vita romana in seguito all'incontro di una donna che diviene la moglie di uno di loro (Pannunzio sposa nel 1935 un'attrice ungherese).
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