"Noi responsabili, poi Silvio lasci"

La manovra è un rospo da ingoiare, consentendo che la maggioranza l'approvi immediatamente, senza la spada di Damocle dell'ostruzionismo. Per senso di responsabilità, innanzitutto. Per rassicurare i mercati. Perché lo chiede il presidente Napolitano. Per le opposizioni, Pd in testa, è una giornata di passione, di riunioni (la prima alle 8,30 del mattino al Senato, mentre Piazza Affari rischia il tonfo), e di contatti con il Quirinale. Ma la linea che esce è chiara e univoca: via libera a tempi rapidissimi di approvazione; quindici gli emendamenti comuni presentati, calmiere (non più di 3 su quelli dei gruppi); voto contrario sul complesso del provvedimento e poi Berlusconi a casa. Lo ripetono come un mantra, i leader dell'opposizione. Bersani (in missione in Medioriente) dice: «Noi facciamo la nostra parte, ma Berlusconi non dà più fiducia». D'Alema rincara: «Penso che, approvata la manovra, Berlusconi dovrebbe dimettersi e capire che la sua presenza al governo è un ostacolo alla collaborazione tra maggioranza e opposizione che sarebbe necessaria in tempo di crisi».
Di Pietro reclama che, dopo la responsabilità, arrivino le elezioni. Per il Pd il discorso è diverso: in un momento di tale rischio per i conti pubblici, ci vorrebbe un governo di «fine legislatura» o «di scopo», affidato magari a un economista come Mario Monti. Ma questo è "il dopo". Intanto c'è da tenere dritta la barra, come Bersani spiega in una telefonata al capo dello Stato: votare no e però garantire l'ok alla legge di bilancio. Telefonata del segretario anche con Gianni Letta, al quale ripete: «Tempi rapidi per la manovra, però resta il no». Di tradurre in atti politico-parlamentari la rotta democratica s'incarica Anna Finocchiaro. La capogruppo passa da una messa a punto all'altra con tutte le opposizioni e sente Napolitano. Non molla su una questione di metodo concordata con Enrico Letta, il vice segretario, e con Dario Franceschini, l'altro capogruppo: sì all'incontro con il ministro Tremonti ma in Senato, nella sede parlamentare. E alla riunione le opposizioni portano un pacchetto condiviso di emendamenti: sulla soglia per la mancata indicizzazione delle pensioni; sul bollo sul deposito dei titoli che deve essere progressivo e deve escludere i titoli di Stato; e poi le regole per i Grandi eventi. Tremonti lascia qualche spiraglio e ringrazia le opposizioni per «il senso dello Stato».
La responsabilità però è veramente dura da digerire. Questioni importanti (lo stop alle tasse arretrate che gli aquilani devono pagare entro ottobre) sono cassate; mentre le quote latte potrebbero restarci. Il "tesoretto" che viene dalle pensioni delle donne del pubblico impiego (l'emendamento Bonino) da restituire in welfare, resiste fino a sera. Enrico Morando studia una mozione da presentare per abbattere i costi di Camera e Senato, una norma anti-sprechi, così la politica dà il buon esempio.
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