No, una battaglia che porta civiltà

Dalla Rassegna stampa

Chi (come la sottoscritta) ha con i radicali un rapporto pressoché permanente di odioamore, non può oggi che dir loro: chapeau!
Bravi, bravissimi. Semplicemente essendo se stessi e semplicemente applicando alla situazione la loro tenace coerenza, oltre che la loro competenza politico-giuridica, sono riusciti a produrre uno sconvolgimento che potrebbe anche rivelarsi salutare Un bel casino, per parlare terra terra. Ora, naturalmente, è lecito discutere sugli effetti dell'azione radicale - e si può anche ritenere che costituisca un caso esemplare di "eterogenesi dei fini". Di sicuro, il "regolamento Beltrandi" non era mosso dall'intenzione di censurare i talk-show politici, eppure alla fine questo è il risultato. Di sicuro, lo sciopero della fame di Emma Bonino e i ricorsi presentati non intendevano produrre una eri si inquietante, e densa di minacce, quale quella in corso. Capisco queste e altre obiezioni. Ma resto di un altro avviso. Per più d'una ragione.
Intanto, perché quando una minoranza riesce a incidere su un equilibrio all'apparenza fortissimo e quasi inespugnabile, e riesce a farlo con strumenti non-violenti e razionali, si ha un surplus di valore per la politica - e anche perla democrazia. Non è vero che tutto è deciso soltanto ed esclusivamente dalle grandi potenze politiche ed elettorali. Non è vero, dunque, che i "piccoli" siano destinati a svolgere, sempre e comunque, un ruolo di complemento. I radicali sono maestri di quest'arte un po' speciale: riuscire a contare ben al di là delle proprie forze. Bene, qui c'è una lezione che va apprezzata. Tanto più in un'epoca di grigio conformismo e di tendenziale sterminio etnico di tutti coloro che non stanno al riparo di "grupponi".
In secondo luogo, perché ho condiviso, nel merito, questa battaglia. Spesso ho apprezzato le proposte dei radicali, spesso, all'opposto, non le ho condivise - come non mi appartiene la componente liberista della loro cultura Nel caso specifico, però, la questione della "legalità", e la rivendicazione del suo più rigoroso rispetto, rivestono speciale significato: sia perché coincidono, in fatto e in diritto, con la battaglia, altrettanto importante, della pari opportunità di tutti gli attori in campo, cioè di tutte le forze che partecipano alla competizione elettorale, sia perché pone in clamorosa evidenza la pratica di scorrettezze, di illeciti, di facilonerie che (da sempre) presiede al complesso meccanismo della presentazione delle liste elettorali. Il re è nudo, insomma. Ed è arrivato il momento di smetterla con l'approccio, maledettamente italiano, del "così fan tutti", quello che tutto giustifica e tutto assolve.
Infine, e soprattutto, perché ora il Re - il berlusconismo - è ancora più nudo. Qui, i discorsi di principio c`entrano relativamente. C'entra piuttosto questa fase specifica della vicenda italiana, dove la cultura di destra - largamente egemone - si caratterizza, sempre più impudicamente, per la rivendicazione esplicita dell'illegalità, per il rifiuto sistematico di ogni regola, per il gusto di evadere tutto - le leggi, i regolamenti, le tasse. Sono sempre stata assai lontana dalla propensione un po' ossessiva per il formalismo giuridico che contraddistingue i radicali. Ma tendo a ricredermi: proprio la reazione, arrogante e scomposta, del centrodestra di fronte all`esclusione delle liste in Lazio e in Lombardia dà piena ragione all'iniziativa radicale. Neanche a me piacciono le partite vinte a tavolino, e anche a me appare abbastanza assurdo che in due regioni importanti come Lazio e Lombardia il Pdl sia fuorigioco - ma la responsabilità è tutta del Pdl medesimo e delle sue lotte intestine. Ma assai più gravi e sintomatiche sono state le repliche dei dirigenti del partito berlusconiano. Quel La Russa che minaccia fuoco e fiamme (l'insurrezione? qualche strafexpedition alla Italo Balbo?), quella Polverini che derubrica il normale rispetto delle regole a indebito «cavillo burocratico», quel sindaco che torna a fare il militante forsennato, danno il senso della posta in gioco, oltre perfino la necessità di un successo elettorale.
C'è qui, appunto, il senso profondo, tutto "italiano", di ciò che chiamiamo berlusconismo: esso, oltre a essere la miscela (populista, liberi sta, "antipolitica") che sappiamo, si nutre di quel vizio nazionale che è il disprezzo delle regole, tutte le volte che esse attentano al proprio"particulare" di guicciardiniana memoria - si va dal parcheggio in seconda fila alla Grande Corruzione di Stato. Anche da questo punto di vista, la battaglia radicale va nella direzione di una civiltà superiore.

 

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