No Silvio, no riforme

Dalla Rassegna stampa

Sulle riforme ciascuno la pensa come crede: ad alcuni piacciono, ad altri no. Mi riferisco a quelle ideate da Matteo Renzi e concordate con Silvio Berlusconi nella sede del Pd. Ma il vero problema è che difficilmente potranno essere realizzate. Solo gli ingenui s’illudono che il sistema istituzionale sia davvero sul punto di rinnovarsi, adeguandosi alle attuali esigenze. Cominciamo col dire che la soppressione delle Province è una finzione, visto che il personale di questi enti continuerà a percepire la paga. Cosicché i costi gestionali non diminuiranno. Fra l’altro le attribuzioni provinciali non sono facoltative, bensì obbligatorie: chi le assumerà? Transeat. Passiamo al superamento del Senato. Superamento un corno. Anche in questo caso gli organici pletorici e costosissimi dei dipendenti non saranno sfoltiti. Palazzo Madama seguiterà pertanto a essere uno stipendificio di lusso. Ma questi sono soltanto dettagli tecnici.

Esaminiamo gli aspetti politici, che presentano complicazioni ancora più allarmanti. Allora. Le riforme in questione fanno parte di un piano, come sopraricordato, studiato dal premier e dal capo di Forza Italia. Va da sé che dovrebbero essere approvate sia dal Pd sia da Fi. Altrimenti o sarebbero zoppe o destinate a rimanere carta straccia. Non ci piove. Ora, però, è noto che il Cavaliere è all’angolo: tra pochi giorni la Procura deciderà se egli debba andare in carcere, ai domiciliari o ai servizi sociali. Comunque sia, la sua agibilità politica sarà azzerata o fortemente limitata. Nel senso che Silvio non avrà più la piena facoltà di guidare il proprio partito e neppure di negoziare direttamente le modifiche da apportare alla Costituzione. Ci sarebbe soltanto una soluzione: che Giorgio Napolitano, non appena Berlusconi avesse iniziato a scontare la pena, gli concedesse motu proprio la grazia. A quel punto la strada sarebbe in discesa. Ma scommettere su una simile ipotesi significa essere troppo ottimisti. Quindi? Per il presidente del Consiglio si profila un percorso di guerra, al termine del quale non è escluso vi sia una tomba per il suo governo. Un ritardo, o, peggio ancora, un fallimento della promozione riformistica sarebbe una catastrofe per l’ex sindaco di Firenze, che ha ripetutamente dichiarato: se non riesco a eliminare il bicameralismo perfetto, mi ritiro dalla politica. Fossimo in lui, faremmo già le valigie.

In effetti, la soppressione del Senato comporta quattro passaggi parlamentari, due per ogni Camera. Ciò richiede molto tempo. Se poi l’iter non fosse sveltito dalla spinta del Cavaliere, addio: le probabilità per Renzi di concretizzare le proprie intenzioni si ridurrebbero al minimo, o a zero. Inoltre nel Pd non cessano le polemiche, gli scontri, le divisioni, le beghe. Infine il Movimento 5 stelle si è irrigidito e non ha alcuna voglia di sostenere il giovin Matteo, anzi ne auspica un capitombolo. La battaglia non è più fra destra e sinistra, ma fra nuovo e vecchio. Gli schieramenti tradizionali si sono spacchettati e gli equilibri politici sono mutati. Per assurdo, la durata di Renzi dipende dalla libertà di Berlusconi di dargli una mano. Ma se Berlusconi non ci sarà, non ci sarà neanche la sua mano. Mors tua, mors mea.

 

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