Il no di Abdullah nella paura di Kabul

Dalla Rassegna stampa

L´inverno scorso la diplomazia occidentale ripeteva che le elezioni afgane dovevano essere «libere e corrette». Nella tarda primavera ci si rese conto che in quella terra non si potevano applicare gli stessi criteri di legittimità usati in Europa. Allora si convenne di definire il traguardo con un lessico più realistico: elezioni «credibili». All´inizio dell´estate quel «credibili» parve eccessivo e si adottò un più mesto «abbastanza credibili». Ora perfino una credibilità ridotta pare fuori dalla portata di un processo politico con ogni evidenza fallimentare. E non tanto per i limiti ovvii della democrazia afgana, quanto soprattutto per la politica erratica degli occidentali, come al solito divisi e nell´occasione più incerti che mai.
Tecnicamente le elezioni franano sul rifiuto di Abdullah Abdullah, lo sfidante di Karzai, che non parteciperà al ballottaggio previsto per il 7 novembre perché a suo dire sarebbe stato viziato dalle massicce irregolarità.
In realtà i brogli non sarebbero stati decisivi, e in ogni caso anche Abdullah ne avrebbe beneficiato, così come era accaduto nel primo turno. Dunque il suo forfait nasce semmai dal timore di perdere, e di perdere male, poiché una parte del suo elettorato avrebbe disertato le urne considerando certa la vittoria di Karzai. Disertando il ballottaggio, invece, Abdullah può sostenere che la vittoria gli è stata sottratta con l´inganno. E poiché questo equivale ad affermare che Karzai non è un presidente legittimo, ecco naufragare un intero percorso elettorale, e soprattutto il suo obiettivo finale: offrire all´Afghanistan un presidente in cui la popolazione potesse confidare, sentirlo "suo", e riconoscere in lui l´affermarsi di una statualità finalmente limpida, legale.
Il disastro non avrebbe proporzioni così vistose se non le avesse ingigantite l´insipienza degli occidentali. Questi ultimi erano divisi tra un pacchetto di mischia anglo-americano, che voleva a tutti i costi liberarsi di Karzai, e quelle diplomazie europee, inclusa l´italiana, che consideravano Karzai meno inaffidabile degli altri candidati. Le alternative al presidente in carica erano tante, perfino troppe. Il Dipartimento di Stato puntava su Ashraf Ghani, un economista di valore cui la Clinton aveva prestato il consulente elettorale che regalò al marito la formula vincente "It´s the economy, stupid". Il problema è che in un Paese stabilmente in coda a tutte le graduatorie dello sviluppo, economia vuol dire innanzitutto favori, posti, denaro contante, e nulla di questo era nella disponibilità di Ghani. Altri occidentali vedevano bene Abdullah, benché un tempo recettore dei finanziamenti iraniani ai tagiki. Ma Abdullah non convinceva i pashtun, l´etnia maggioritaria. In ogni caso, la Nato non aveva un suo candidato.
Ciascun contingente era libero di aiutare questo o quello, favorendone accordi o manovre. Ma gli occidentali nel complesso erano spettatore neutrale. L´importante, si diceva, è che il futuro presidente abbia legittimità e consenso. Ciò che manca a Karzai, era il sottinteso.
Gli occidentali delusi da Karzai confidavano nel voto di protesta, che avrebbe bocciato il capo di un´amministrazione opaca. Ma queste speranze furono vanificate dalla moltitudine dei candidati, e dall´abilità di Karzai nel tessere alleanze spregiudicate con i potentati locali. Quando però la Commissione elettorale annunciò che Karzai aveva la maggioranza assoluta, i delusi scoprirono quel che era stato ampiamente previsto prima del voto: mancando un´anagrafe elettorale e un saldo stato di diritto, i brogli sarebbero stati massicci. D´un tratto un uragano di scetticismo investì elezioni che Onu, Nato, Casa Bianca ed Unione europea avevano definito, quel 20 agosto, «un successo» (sei milioni di elettori, malgrado le minacce e gli attacchi dei Taliban). Un successo? Al contrario: una farsa, un colossale inganno. Furente, il diplomatico che Washington aveva infilato nella missione Onu, Galbraith, si dimise accusando il suo capo, il norvegese Kay Eide, di coprire gli imbrogli di Karzai. Poi il riconteggio a campione dei voti sospetti, in totale un milione, portò a correggere la percentuale di Karzai dal 53% al 47%. E se questa fosse l´entità dei brogli, si tratterebbe di una percentuale sorprendentemente bassa, rispetto agli standard dell´area e alle condizioni in cui si votava. Comunque il riconteggio ha aperto le porte al secondo turno. Abdullah ieri le ha richiuse. A meno di suoi ripensamenti, il ballottaggio si svolgerà ugualmente, ma solo per la forma; l´affluenza sarà minima.
In teoria i governi alleati dispongono di varie soluzioni per limitare il danno. Possono convincere Karzai ad accettare un chief-minister, di fatto un primo ministro che, se scelto con oculatezza, aumenterebbe la credibilità del governo. Possono dirottare gli aiuti direttamente ai governi provinciali, se onesti. In ogni caso tenteranno di imporre un esecutivo decente.
Ma se vogliono evitare altri disastri, americani ed europei dovranno far tesoro dei propri errori e ravvedersi in fretta.
Avvicinandosi le elezioni del mid-term, tra un anno, Obama deve individuare traguardi realistici da proporre alla base del suo partito, assai dubbiosa sulla guerra afgana. Lo stesso vale per i governi europei, che dovranno quantomeno articolare meglio la retorica sulla democrazia in Afghanistan. In ogni caso, non riusciamo a immaginare come l´Alleanza atlantica possa sperare di vincere la guerra senza sanare le divisioni e il tasso di incoerenza che l´affliggono.
Sono in gioco il futuro della Nato, il destino dell´Afghanistan, gli assetti nell´area più ribollente del pianeta. Che rispetto a tutto questo gli occidentali abbiano voglia di rivaleggiare tra loro, diffamandosi e sgambettandosi all´occorrenza, non è soltanto patetico, comincia ad essere ridicolo.

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