Niente apocalissi

Dalla Rassegna stampa

Lo ricordate, il dibattito culturalpolitico-religioso sul "declino dell’occidente"? Sembra si sia un po’ smosciato. Ma fino a poco tempo fa, storici, politologi, ideologi e teologi si stracciavano le vesti perché l’occidente, dopo ininterrotti secoli di supremazia culturale, intellettuale ed etica, di espansionismo e di conquiste sotto ogni meridiano e parallelo, di esibizione di superiorità tecnologica ed artistica, sta vistosamente arretrando dinanzi ad altre culture, altre economie, altre pimpanti potenze tecnologiche vogliose di vendicarsi sugli antichi dominatori. Viene evocato, anzi, uno "scontro di civiltà": dal quale l’occidente, la spengleriana "terra dell’occaso, del tramonto", uscirà soccombente.
 
 Quando veniva (o viene) chiesto a quei profeti di sventura quali, le ragioni dell’epocale ribaltone, per lo più essi rispondevano (e rispondono) che l’occidente ha smarrito i valori e si è inaridito in un mortale nichilismo spirituale. L’apocalissi ha sempre un suo fascino evocativo, difetta però del requisito popperiano della verifica empirica. Alcuni giovani studiosi, soprattutto di scuola californiana, non hanno ceduto al visionarismo wagneriano o heideggeriano e hanno invece raccolto dati e fatti utili a dare una ragionevole e controllabile spiegazione del mutamento che sta scalzando l’occidente dalla sua privilegiata condizione di egemone globale. Innanzitutto essi ricordano: "Se in gran parte del XIX e del XX secolo l’apprendimento della storia mondiale passava attraverso lo studio della civiltà occidentale, raccontata come storia dell’ "ascesa dell’occidente", oggi dobbiamo capovolgere il racconto. "Tale ascesa avvertono - potrebbe essere stata un fenomeno relativamente breve e forse temporaneo...", in quanto "le società dell’Asia e del medio oriente svolsero, fino all’incirca al 1500, un ruolo guida a livello mondiale in campo economico, scientifico e tecnologico, in quello della navigazione, del commercio e delle esplorazioni". L’Europa "non raggiunse né superò le principali società asiatiche fino al 1800 circa" e anzi la sua stessa civiltà "poggiò in larga parte sulle conquiste di altre civiltà". L’immagine di un oriente fatalisticamente immobile va scartata, è falsa. Ce ne aveva ammonito anche Amartya Sen. Si deve piuttosto accettare il fatto che il primato nei più vari settori, dal commercio all’industria e alla manifattura, dalla filatura e tessitura del cotone all’agricoltura e alle tecniche navali era, fino ai primi dell’Ottocento, in mano dei paesi asiatici, dall’India alla Cina.
 
 Troverete i dati relativi a questa ricerca in uno stringato libro di Jack A. Goldstone ("Perché l’Europa?", ed. Il Mulino, 2010, 23 euro). Sono, credo, sostanzialmente accettabili, anche se qualche correzione può essere raccomandata. A me interessa un ragionamento che a questo punto diventa inevitabile: se 1’ascesa" dell’occidente è un evento storico particolare e definito nel tempo, su quali basi si fonda la concezione per cui la sua ritirata dal proscenio deve essere assimilata a una apocalisse?
 
 L’occidente non è - oggi apprendiamo - la causa, il motore, la garanzia dei destini del mondo: è solo uno dei soggetti di una storia complessa e diversificata, nella quale hanno un posto indispensabile altre culture, terre, valori che noi europei, noi occidentali, abbiamo ignorato o snobbato, per una nostra scarsa conoscenza delle documentazioni storiche ma in buona parte grazie a una intenzionale deformazione elaborata in occidente nel periodo della sua espansione: R. Kipling espresse bene il concetto con il suo famoso "East is East and West is West, and never the twain sliall meet", E. M. Forster e S. Maugham ne tratteggiarono ogni sfumatura in "A passage to India" o in "The painted veil". L’orientalismo così caratteristico della cultura europea si accanisce nel darci una immagine deformata di terre, popoli, culture vivissime e sviluppate, dalle quali l’occidente succhiava conoscenze, ricchezze, tecnologie di prim’ordine.
 
 La svolta del "Toleration Act"
Alla fine i nostri studiosi si dedicano a spiegarci perché, ai primi dell’Ottocento, l’Occidente assuma saldamente la supremazia globale. La risposta è semplice. Già con il "Toleration Act" del 1689, in Inghilterra si era instaurato un clima di apertura e di scambi intellettuali e culturali. Ai primi dell’Ottocento, sempre in Inghilterra (per poi diffondersi in tutto l’occidente) si installa una cultura tecnica nuova che rifiuta le tradizioni, a partire da quelle religiose, e pone al suo centro una dinamica espansiva, tesa al continuo mutamento, all’innovazione come motore intrinseco al processo produttivo. Le società orientali non conobbero questo modello di sviluppo. Quando gli europei e gli occidentali partirono alla conquista dell’oriente, esprimevano società più aperte e dinamiche e per questo riuscirono ad imporre il loro predominio. Insomma, l’“ascesa” globale dell’occidente è dovuta, secondo i nuovi studiosi, non ai suoi eterni "valori" etici e magari religiosi, ma alla supremazia della sua recente cultura tecnologico-scientifica, dalle salde basi laiche.

© 2010 Il Foglio. Tutti i diritti riservati

SEGUICI
SU
FACEBOOK