Il Nicaragua torna a Ortega

Una volta un mio amico e maestro di giornalismo, Edgardo Pellegrini, mi raccontò di un suo incontro con Giancarlo Pajetta nell'ascensore dell'Unità. Il partigiano "Nullo" fissò per qualche secondo la folta barba e la camicia 'verdeolivo' del mio amico e poi lo apostrofò: «Compagno sappi che a me i castristi non piacciono!». La appassionata risposta non fu estranea all'allontanamento, di li a poco, di Edgardo dall'Unità e alla sua espulsione dal Pci, poco prima del fatidico '68.
Il racconto mi è rivenuto in mente leggendo ieri sulla Stampa un ritratto del capo sandinista Daniel Ortega ritornato dopo più di vent'anni a governare il Nicaragua. Fra i suoi consiglieri un cugino di Gheddafi, nella sua politica estera un rapporto privilegiato con l'Iran di Ahmadinejad, nella sua vittoria un ruolo decisivo della chiesa locale che lo raccomandava come candidato antiabortista. Il Nicaragua ha la legge più dura del mondo sull'aborto, prevede sei anni di detenzione per le donne e vieta anche l'aborto terapeutico. Ortega ha promesso di non toccare una simile legge. Ho pensato, leggendo l'articolo, a tre cose. La prima è che il fallimento delle "rivoluzioni " anticolonialiste è stato forse più significativo e doloroso, almeno per una generazione, del crollo dell'Urss, su cui pochi si facevano illusioni. Poi ho pensato che il mio amico Edgardo almeno questa porcheria di Ortega non ha fatto in tempo a vederla. E infine, che il compagno Pajetta non aveva tutti i torti.
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