Netanyahu frana al centro, la vittoria dei rottamatori

Dalla Rassegna stampa

Quella di Benjamin Netanyahu è stata una vittoria di Pirro, come l’ha definita il quotidiano israeliano Ha’aretz: i trentuno seggi guadagnati (su un totale di 120) fanno del suo il primo partito, rispetto ai diciannove del secondo classificato, Yesh Adit (“C’è un futuro”), il partito sorpresa di queste elezioni, ultra laico, guidato dal giovane e famoso anchorman televisivo Yair Lapid. Questo metterà Netanyahu nella condizione di ottenere per primo l’incarico di formare il nuovo governo da parte del presidente Shimon Peres.
Ma il prezzo pagato, la confluenza realizzata dal suo partito – il Likud – con Yisrael Beitenu, il partito dell’ex ministro degli esteri Avigdor Lieberman, è stato sicuramente troppo alto e imprevisto: i due schieramenti assommavano 42 seggi nella precedente Knesset, e quindi la perdita è stata di undici seggi, oltre un quarto del totale. Può certo aver pesato l’incriminazione di Lieberman per frode, che ne ha causato le dimissioni da ministro. Ma vi è probabilmente un altro elemento, più di fondo: la progressiva deriva verso destra di Netanyahu, e la conseguente frana di consensi al centro.
Spaventato per la concorrenza a destra dell’altra sorpresa di queste elezioni, il quarantenne Naftali Bennet, leader di Habayit Hayehudi, già portavoce del movimento dei coloni (che aveva avanzato la proposta di annettere ad Israele tutta l’Area C, pari al 62 per cento della Cisgiordania), il premier israeliano ha lanciato una campagna di nuovi insediamenti a Gerusalemme Est e in altre zone. Così facendo Netanyahu si è attirato contro la forte reazione degli Stati Uniti con le durissime dichiarazioni informali rese ad un giornalista dal presidente Obama in persona, che lo ha accusato di portare Israele all’isolamento e di non fare i suoi veri interessi. Si è scontrato inoltre con lo stesso presidente Shimon Peres, che lo esortava a riprendere il negoziato con i palestinesi; ed ha finito per caratterizzare la sua posizione troppo a destra, tralasciando di parlare dei problemi quotidiani della gente, le case troppo care, il caro vita – causa del largo disagio sociale che aveva portato alle grandi manifestazioni di due estati fa.
Un altro problema è stato sicuramente quello dell’esenzione dal servizio militare dei giovani religiosi ortodossi: un argomento che Netanyahu si è ben guardato dallo sfiorare, per non inimicarsi i partiti religiosi, ma che è al contrario divenuto uno dei principali cavalli di battaglia di Lapid. Questa questione dell’esenzione dei giovani ortodossi è divenuta centrale, perché la società israeliana oramai non può più permettersi di mantenere una fetta così consistente della popolazione fuori non solo dall’obbligo di leva o del servizio nazionale alternativo, ma anche dallo stesso mercato del lavoro.
D’altronde, la stessa composizione della lista di Likud-Beytenu – che ha fatto fuori alcuni dei leader più conosciuti, come Benny Begin e Mickey Eitan, a favore dei “giovani turchi” del partito – ha contribuito sicuramente a indebolire i suoi canali di comunicazione con il centro e con quella parte dell’elettorato, che ha preferito seguire Lapid o perfino lo stesso Bennet, visti come innovatori, rispetto alla generazione dei vecchi leader che ha fatto fallimento. Lo spostamento a sinistra è stato netto: il centrosinistra, insieme ai partiti arabi, passa da 55 a 60 seggi, in perfetta parità con il centrodestra.
Forse quello che gli è mancato è la consapevolezza di poter vincere, e la volontà di farlo. Al suo interno il Labour passa a 15 seggi, con un lieve aumento rispetto al precedente risultato, ma comunque lontano rispetto alle previsioni della vigilia, che glie ne attribuivano 19. La scelta di Shelly Yachimovich, la sua leader, di tralasciare i problemi del processo di pace, puntando tutto sugli aspetti sociali, non si è dimostrata vincente: le sue ambizioni sono state ridimensionate, a vantaggio di Lapid e anche del tradizionale partito della sinistra sionista, il Meretz, che pareva oramai in via di estinzione e invece raddoppia i suoi mandati da 3 a 6. Tanti quanti ne conquista Tzipi Livni, che ha salutato così le grandi ambizioni con cui era uscita da Kadima. La Livni aveva rifiutato di collegarsi elettoralmente al Labour, mancando così l’occasione di promuovere una candidatura in grado di competere validamente con Netanyahu.
Inarrestabile la caduta di Kadima, che crolla da 28 a due seggi. Stabili i partiti arabi, con otto seggi. Ora Netanyahu, e lo stesso Lapid, paiono puntare ad un ampio governo di unità nazionale, da Lapid a Bennet ai partiti religiosi, alla stessa Livni. Ma non sarà facile: lo scoglio del servizio di leva dei giovani ortodossi è una pregiudiziale per Lapid, un macigno per i partiti religiosi, e trovare un compromesso non sarà facile: c’è già chi parla di un possibile ricorso a nuove elezioni.

 

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