Nessun ritiro dall'Afghanistan

Attenti a non cadere nella trappola della propaganda dei taleban. L’avvertimento arriva dal ministro degli Esteri Emma Bonino, all’indomani dell’attacco al convoglio dei nostri militari a Farah che è costato la vita al capitano Giuseppe La Rosa. Che a ucciderlo sia stato un «bambino-eroe», un «balilla undicenne», lo dice appunto «il portavoce dei taleban». La ricostruzione che emerge dai riscontri sul terreno conferma invece quello che si era già delineato sabato in giornata e che era stato confermato dal ministro della Difesa Mauro. Un attentato pianificato, condotto nella fase finale - il lancio della granata - da un «giovane adulto» sui 20 anni. Ieri però sono emersi da fonti qualificate nuovi dettagli che fanno temere un salto di qualità nell’attività degli insorti a Farah. L’attentatore vestiva abiti color sabbia, uguali o molto simili alle divise dell’Esercito nazionale afghano, l’Ara. Un modo per potersi avvicinare più facilmente ai mezzi del nostro contingente. Mezzi che sono stati rallentati da un assembramento, una sorta di manifestazione organizzata dagli stessi taleban. Segno che la loro penetrazione nelle zone urbane è cresciuta. E per la prima volta hanno attaccato in una zona abitata, per quanto periferica, mentre finora avevano agito nelle campagne.
Oggi dall’Afghanistan rientreranno la salma del capitano La Rosa e due dei tre feriti, quelli gravi, che potranno fornire altri elementi sulla dinamica dell’attentato. Tutti fattori da valutare in vista di una «rimodulazione» della nostra presenza militare in Afghanistan, ieri evocata dal ministro Bonino, intervistato da Lucia Annunziata su «Raitre»: «Al momento non si discute se accelerare il ritiro previsto per il 2014. Ci sono elementi per pensare a una diversa dislocazione sul terreno, per continuare ad assecondare un processo, ma adattandosi a ciò che succede sul terreno». Il tutto in vista della trasformazione della missione di peacekeeping in una esclusiva di addestramento e ricostruzione, dopo il ritiro delle truppe combattenti a fine 2014. Con i tagli al bilancio che mordono, ogni possibile risparmio dev’essere studiato. Ma Bonino ha in mente un strategia per coniugare risorse limitate e l’ambizione, o la necessità, di avere ancora un ruolo internazionale.
Con gli Stati nazionali europei che da soli sono in difficoltà la costruzione di un esercito unico europeo non può più essere un tabù. «Oggi abbiamo in Europa - spiega Bonino 27 eserciti inutili e costosi, due milioni di persone in divisa, magari neppure dialoganti fra loro». Grandi spese per magri risultati, mentre l’esercito unico significherebbe la riduzione nu- merita degli eserciti nazionali, ma in una «prospettiva europea». E il fatto che anche in Francia «comincino a porsi il problema», a quasi 60 anni dall’affossamento della Comunità europea della Difesa (Ced) «fa piacere». Prima però ci vuole l’unità politica. Come ha insegnato «la pagina ingloriosa» del dibattito sull’embargo alle forniture di armi ai ribelli in Siria, con Londra e Parigi che spingevano per rifornire i ribelli e quasi tutti gli altri contro. «Non credo però - puntualizza Bonino - che inonderanno di armi quel Paese, credo che fosse piuttosto un avvertimento politico».
L’intervento militare in Siria non è insomma «più vicino». Bisogna «accelerare» su Ginevra-2, la conferenza che potrebbe essere l’ultima chance per una soluzione pacifica del conflitto. Stessa soluzione suggerita al premier turco Recep Erdogan, alle prese con le manifestazioni piazza: «Deve decidere se puntare a un democrazia matura o insistere su uno stile di governo che è diventato molto autoritario in questi ultimi anni».
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