E nelle nostre carceri si vive in 3 metri quadri

«Che le carceri italiane siano un inferno è un dato di fatto. Noi radicali lo denunciamo da tanto tempo, ma anche la Corte europea per i diritti dell'Uomo lancia segnali importantissimi. L'ultimo è arrivato due giorni fa: l'Italia dovrà dare chiarimenti sullo stato in cui sono costretti a vivere i detenuti». Rita Bernardini, parlamentare radicale, si batte da tempo per il riconoscimento dei diritti dei detenuti all'interno degli istituti di pena. Delle 206 carceri dislocate su tutto il territorio nazionale ne ha visitate 120, «molte delle quali più di una volta. In pratica passo tutti i miei fine settimana in galera. Abbiamo aiutato molti detenuti a presentare ricorsi a Strasburgo, e ora arrivano i risultati». La Corte europea ha, infatti, contattato il governo italiano chiedendo informazioni sulle condizioni di detenzione nei vari istituti di pena, sul numero di detenuti di ogni istituto, sulla capienza massima e sul numero di ore di aria previste per ogni carcere. La richiesta nasce sulla base dei ricorsi che ventisei detenuti nelle carceri di Cosenza, Salerno, Palmi, Matera e Saluzzo, hanno presentato tra l'agosto del 2009 e l'ottobre del 2010; a questi se ne aggiungono altri quarantacinque, provenienti dagli istituti penitenziari di Piacenza e Busto Arsizio, che descrivono un certo degrado della situazione carceraria.
Ma come si vive in carcere? Le celle sono troppo piccole, di soli tre metri quadri circa, manca un'adeguata ventilazione e illuminazione. E i detenuti sono costretti a trascorrere anche l'intera giornata al loro interno senza la possibilità di muoversi. Non è la prima volta che una denuncia in merito alla delicata situazione delle carceri viene trattata dall'organo giudiziario internazionale; un altro caso risale al luglio del 2009, quando lo Stato italiano fu ritenuto responsabile della morte di un detenuto, costretto per due mesi a stare in una cella di meno di tre metri quadrati. «Abbiamo sostenuto i ricorsi alla Corte di Strasburgo - spiega la Bernardini - come strumenti di rivendicazione di diritti fondamentali e inviolabili. In particolare abbiamo aiutato i detenuti del carcere di Fuorni (Salerno) a presentarli, dopo che ho constatato il degrado della struttura salernitana durante alcune mie visite ispettive. Sulla situazione ho anche presentato diverse interrogazioni parlamentari per chiedere conto ai ministri della Giustizia e della Salute delle criticità e delle carenze riscontrate».
L'ultima risale a meno di un anno fa. E denuncia un forte deficit di agenti e di personale in servizio a fronte del gravissimo sovraffollamento; la mancanza di assistenza psicologica e psichiatrica; un'assistenza sanitaria decisamente inadeguata alla presenza di numerosissimi detenuti tossicodipendenti e di diversi casi a rischio suicidio; scarsissime possibilità di lavoro per i detenuti («a Salerno possono lavorare soltanto in 40 e con una retribuzione di cento euro al mese che non basta neanche per acquistare le sigarette»), pasti insufficienti per uomini di circa trent'anni.
«I detenuti di Fuorni - dice ancora la parlamentare radicale - passano in celle sporche e degradate almeno venti ore al giorno, costretti a stare in sette in venti metri quadrati, meno di tre metri a testa, e che in molte celle c'è ancora il wc a vista, benché vietato dall'ordinamento penitenziario. Se lo immagina che cosa significa non avere neanche un attimo di privacy?». Recentemente si sono inoltre verificate emergenze alla sezione tossicodipendenti, anche queste, sottolinea la Bernardini, oggetto di interrogazione, e un disservizio all'ufficio postale di Fuorni che mette a serio rischio l'approvvigionamento mensile di cibo e medicinali dei detenuti. «Quindi, l'interessamento della Corte di Strasburgo - puntualizza la Bernardini - è un segnale positivo non solo ai fini di un risarcimento per il trattamento subito dai detenuti, ma anche per il riconoscimento del reato di tortura, contemplato dall'articolo 3 della Convenzione europea per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti, ratificata dal nostro Paese, ma non ancora recepita dall'ordinamento italiano».
Situazioni analoghe si verificano puntualmente anche in altri istituti, ma non sempre i detenuti sono disponibili a denunciare. «È accaduto a Poggioreale - dice la parlamentare - ho parlato con alcuni detenuti, ma nelle loro lettere mi hanno risposto di aver paura di ritorsioni. Bisogna fare i conti anche con queste realtà...». Chiaramente pur nelle difficoltà e nel degrado generale ci sono esempi "più umani". «A Rebibbia - conclude - c'è un forte sovraffollamento, ma il direttore in alcune sezioni ha disposto che le celle restino aperte per consentire ai detenuti di circolare nei corridoi. Un esempio che dimostra come i direttori, pur in situazioni estreme, possano dare un "minimo di respiro"».
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