Nell'asilo dei bambini assediati dall'immondizia

Dalla Rassegna stampa

 

Con gli occhioni blu Federica non ci arriva nemmeno, alla finestra. Ma non ha bisogno di vedere il magma di sacchetti multicolori, verdura marcia, lattine d'olio, scatoloni sventrati, bottigliette di plastica, avanzi di cene, buste stracolme di scarti di vita, e quel fiumiciattolo di percolato che adesso comincia a scorrere proprio oltre il davanzale della sua classe.
 
A quattro anni, Federica già lo sa: «La munnezza è blutta, puzza e non ci fa passare». Tutti i cinquecento piccoli ostaggi della Paisiello, la scuola materna ed elementare nel cuore dei Quartieri Spagnoli, lo sanno. Perché lo imparano ogni giorno sulla loro pelle arrossata, perché la sentono nelle narici e in certe tossi stizzose quest'offesa che non riescono ancora a spiegare. «La munnezza puzza assai, pure a casa mia!», declama Raffaele, che gigioneggia finché la maestra Imma non lo corregge: «Dillo in italiano: immondizia...». «Eh! Munnezza! Munnezza!», ride l'impunito. Kimberly non ride, ha paura, lei: «Ci stanno i topi là fuori, li ho visti, li ho visti!».Lo sanno tutti, sì, s'impara prima dell'alfabeto a saltellare nello schifo, perché dalle otto di mattina vicolo Montecalvario non è più un percorso possibile, i bambini arrancano nel giro lungo attraverso la piazza accanto, squarciata dal cantiere della metropolitana, per riuscire infine a raggiungere l'ingresso della scuola. I duecento passi del vicolo sono un'unica discarica.
 
Qualche mamma abbozza una prima protesta, «dovete chiuderla, 'sta scuola! Basta mo'!», molte altre voci si alzano. Aurora Suraci scuote la testa, nel suo ufficio di dirigente: «Chiudere non si può, questo è un servizio pubblico, bisogna rispettare le regole. Se tutti rispettassero le regole non staremmo così». Aurora è una di quelle napoletane che bisognerebbe mandare in giro per dimostrare che Napoli si può ancora salvare. Fisico alla Tina Pica, voce bruciata dalle sigarette, per questa faccenda delle regole costringe i bidelli che curano la refezione dei bambini a indossare camici blu, cuffiette, guanti sterili e scarpe bianche di gomma, «non si sgarra, lo vuole la legge». Il bidello Enzo la guarda con molto rispetto e un filo d'ironia. Perché a ora di pranzo, nella sezione A della materna, la situazione è questa: un tipo vestito come un cardiochirurgo distribuisce cestini con pasta e patate, fagiolini e polpette ai dodici bambini (su venti) che ancora le madri più coraggiose portano in classe; e appena oltre le grate di ferro delle finestre, appena al di là delle vetrate chiuse ermeticamente, sfila una Piedigrotta di batteri che basta inalarne una boccata per sentirsi i brividi addosso.
 
«È dieci giorni che non la ritirano, la spazzatura, ma è così brutta da venerdì: abbiamo pure chiamato la polizia, quelli so' venuti e si sono messi a guardare senza fare niente», dice una madre che si arrende e porta via il figlioletto. Ai bambini della materna va peggio che ai compagni più grandi: le loro aule stanno al piano rialzato, proprio addosso alla discarica di vicolo Montecalvario. «Stamattina qualcuno ha continuato a buttare spazzatura, anche dai motorini», mormora Aurora, circospetta, «hanno usato quest'angolo come uno sversatoio». Non dice di più, ma le cose bisogna guardarle da vicino per capirle.
 
Nel 2009, proprio lei diede l'allarme per far rimuovere sei cassonetti sotto la scuola dove qualcuno buttava addirittura scarti di amianto. Ci fu un'interpellanza dei radicali, ovviamente senza esito. Ora i cassonetti non si vedono ma stanno ancora lì, inglobati tra i rifiuti che anche la gente del posto continua ad abbandonare sotto il naso dei propri figli, perché non viene certo da Marte questa dannata mondezza, e tutti sanno che lì c'è una scuola materna. All'angolo con piazza Montecalvario spiccano sul muro due tazebao scarabocchiati a mano, le maestre hanno scritto il testo, i piccoli della Paisiello hanno fatto i disegni. Si legge: «Genitori, nonni, zii, amici, rispettate l'orario di raccolta rifiuti. Dietro queste finestre ci siamo NOI!». L'emergenza del vicolo è endemica, ma è verosimile che qualche manina abbia riversato cumuli supplementari di spazzatura proprio qui, perché scoppiasse il bubbone, con una di quelle manifestazioni di autolesionismo cui Napoli ci ha abituato.
 
Di paradossale c'è che nelle ore in cuiuna commissione europea arriva in città e - tenendosi alla larga dai vicoli si consegna ai palazzi istituzionali e alle scartoffie burocratiche, nelle stesse ore in cui due parlamentari napoletane da copertina come la Carfagna e la Mussolini si accapigliano in una rissa degna dei bassi per motivi più che futili («sei una vajassa!», «lascia che mi capiti davanti...»), proprio il popolo dei bassi sembra sul punto di esplodere. C'è una parola, «colera», che nessuno pronuncia ad alta voce per paura di passare da untore: l'avvicinarsi del freddo dovrebbe essere del resto la medicina migliore per scacciare gli spettri degli anni Settanta, ma in ospedali di frontiera come il Cotugno si trattiene il respiro e le disdette cominciano a liberare troppe stanze negli hotel del lungomare. Ancora una volta, la scuola di Montecalvario sembra una metafora della paralisi che da troppo tempo ha stregato la città. Aurora tossicchia triste: «Io sto qua da due anni, ma 'sta storia va avanti da un pezzo. Guardi questo foglio: il 2 novembre chiedevo un sopralluogo. Non è venuto nessuno, solo il poveretto che mi ha scritto la lettera di risposta dall'ufficio competente. Ecco la firma, vede?, Si chiamava Pasquale Spalice. Ci siamo riuniti io e Pasquale Spalice, qua dentro, e tutto è finito così... Le racconto una storia: una volta ho deciso di fare vedere ai bambini la raccolta differenziata, li ho portati dove si recupera la carta. Ho chiesto all'addetto: scusi, la carta dove la mettete? E lui: che ne saccio io, signo'?, io butto sempre tutto assieme all'altra munnezza!». All'uscita di scuola, il comitato genitori distribuisce un volantino: «Non portate più i bambini finché non puliscono!». Anche Giovanni, il tassista che ci accompagna, ha una bambina qua dentro. Si ferma due vicoli dopo, si segna devoto davanti al tabernacolo di una Madonna. «L'hanno messa lì perché così, per rispetto, non gli lasciano più la mondezza sotto casa». Dicono che molti comincino a usare questo trucco nei Quartieri Spagnoli. Un altarino ben fatto costa sui duemila euro: quando anche i bambini della Paisiello potranno permettersene uno, forse saranno salvi.

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