Nella partita a tre del 24 febbraio le carte sono ormai in tavola

A quaranta giorni dalle elezioni i temi centrali sono tre e s'intrecciano in modi imprevedibili.
Primo tema, il più intrigante soprattutto per gli osservatori stranieri. Berlusconi è davvero in grado di portare a termine una mirabolante rimonta, fino a insidiare la vittoria del centrosinistra? I sondaggi dicono che no, non è possibile.
La prova è che dopo lo "show" da Santoro il capo politico del centrodestra ha riguadagnato due, massimo tre punti. E sono punti piuttosto friabili, legati al clamore suscitato dall'esibizione televisiva. Ieri sera alla Sette Mentana spiegava, dati alla mano, che la forbice fra le due coalizioni maggiori resta ragguardevole, appena sotto i dieci punti. Ciò significa che, per raggiungere Bersani, Berlusconi dovrebbe recuperare circa due punti alla settimana di qui al 24 febbraio. Difficile.
Del resto, c'è un elemento extra-politico che incombe ed è il processo Ruby a Milano. In prossimità del voto potremmo trovarci con una drammatica condanna per sfruttamento della prostituzione minorile inflitta a un ex premier. Eventualità destinata ad avvelenare la campagna, è ovvio, ma anche a rendere impraticabile l'ultima battaglia del vecchio combattente.
Secondo tema, il ruolo e lo spazio di Mario Monti. Il leader della terza forza si è reso conto che qualcosa nella sua campagna e nella sua cifra comunicativa meritava di essere registrato meglio; altrimenti il gioco, come è inevitabile, favorisce i due poli maggiori che tendono a soffocare i partiti intermedi. Monti usa adesso un linguaggio piuttosto ruvido e diretto - lo si è visto ieri sera a "Porta a Porta" - e sceglie con cura i suoi bersagli. Nei giorni scorsi si era contrapposto a Bersani, più con i fatti (la candidatura Albertini in Lombardia) che con le parole. Ora è tornato ad attaccare Berlusconi, il «pifferaio magico».
Si capisce perché. È lì, nel profondo serbatoio del centrodestra, che il "montismo" può mettere radici: fra i delusi vecchi e nuovi o gli scettici dell'ultimora. Sul piano strategico Monti deve impedire che il centrodestra, pur ridimensionato, esca dalle urne ancora in grado di condizionare il Parlamento. L'opposto esatto di quello che vuole Berlusconi. A sinistra invece il premier si distingue da Bersani, sì, eppure è evidente che l'«incontro dei riformisti», cioè il patto con il Pd, è plausibile, anzi probabile. A quali condizioni non si sa ancora. Si è capito che Monti non vorrebbe una nuova tassa sul patrimonio o un'altra manovra.
Terzo tema, la prospettiva di Bersani. Il segretario del Pd deve rassicurare l'opinione internazionale e le cancellerie. Lo fa con l'argomento della "stabilità". L'ipotesi di un'intesa con il Centro affiora negli interventi sui grandi giornali esteri. Ma è chiaro che Bersani vuole, certo, coinvolgere Monti, però desidera pagare il prezzo meno oneroso possibile al patto di governo. Ecco allora la battuta acida sulla «polvere sotto il tappeto», conseguenza di certe scelte dell'esecutivo tecnico. Ed ecco l'attenzione al voto nelle regioni. Lombardia, Sicilia, Campania: è lì che il centrosinistra può perdere la partita. Bersani vorrebbe recuperare i voti di Ingroia, che lo disturbano sul fianco sinistro: magari attraverso un complicato accordo di "desistenza". Ma in particolare vorrebbe che Monti non si presentasse la sera del 25 febbraio con la "golden share" del prossimo governo in tasca.
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