Nella confusione la Lega punta sul Quirinale

La Lega insiste a ritagliarsi il ruolo di «motore delle riforme» e per puntellare le sue ambizioni giura che il presidente della Repubblica è dalla sua parte. E’ un modo eccessivo e un po’ affannoso di accreditare un asse privilegiato fra Carroccio e Quirinale. Sembra fatto per tenere il punto di fronte agli alleati del centrodestra, che contestano il primato del Carroccio. In realtà, il profilo delle riforme istituzionali rimane incerto e, se possibile, ancora più confuso di qualche giorno fa. Non si capisce chi sarà riconosciuto come regista di questa strategia; né se riuscirà a coinvolgere l’opposizione; e nemmeno quali risultati otterrà in concreto.
C’è soltanto una parola d’ordine, dietro la quale si affollano i vincitori delle regionali dei 28 e 29 marzo. Pdl e Lega tendono ad utilizzare la nuova priorità della maggioranza per misurare la forza raggiunta nelle urne. Ma gli obiettivi e gli strumenti appaiono tuttora non coincidenti. Le stesse aperture all’opposizione, fatte sia da Silvio Berlusconi che dai vertici dei lumbard, sembrano dettate dall’esigenza di ridisegnare i rapporti interni.
Diventare interlocutori del Pd è uno dei modi per dimostrare la propria centralità. Umberto Bossi afferma: «Con l’opposizione trattiamo noi». Ed il ministro dell’Interno Roberto Maroni avverte che il contributo del partito di Pier Luigi Bersani è «indispensabile». Una ragione non dissimile spinge il neo-governatore leghista del Veneto, Luca Zaia, ad accogliere il capo dello Stato in visita a Verona e poi a dichiarare che «il presidente è dalla nostra parte. Mi ha confermato come il federalismo sia l’unica via per uscire dall’impasse della crisi. Per noi significa vedere il sole». In realtà, il Quirinale osserva il fermento nella coalizione governativa con una miscela dì interesse e di cautela. Il timore di assistere ad un dibattito inconcludente o, peggio, rissoso, è più diffuso di quanto non appaia in questa prima fase di ostentato entusiasmo. Bisogna conciliare federalismo, presidenzialismo, riforme della giustizia; e convincere l’opinione pubblica. Non solo. L’idea di arrivare ad una decisione rapida senza passare attraverso un dibattito indolore all’interno e fra i due schieramenti, rischia di rivelarsi illusoria. Nelle poche parole dette ieri in proposito da Napolitano si indovinano la speranza ed insieme una prudenza di fondo. «La fine di questa legislatura coinciderà con la fine del mio mandato al Quirinale», ha ricordato il presidente della Repubblica. «Facciamo che non sia una legislatura sprecata per le riforme. Discutiamo quali sono effettivamente necessarie e realizziamole». E’ un invito alla concretezza, a non inseguire modelli e formule che storicamente non hanno portato a nulla se non ad una crescente frustrazione. Gianfranco Fini ha messo in guardia dal rischio della superficialità: soprattutto in materia di presidenzialismo. L’ipotesi peggiore è che affastellando le proposte si arrivi alla constatazione di un sistema irriformabile; e di una classe politica incapace di accordarsi sui valori fondamentali.
Per quanto un po’ sterilizzato dalla legge sul «legittimo impedimento», sullo sfondo rimane il conflitto fra politica e magistratura; spuntano prospettive, subito smentite, di nuove tasse. E si intravede un’opposizione più debole dopo il voto regionale; ostaggio delle pregiudiziali «dipietriste» contro Berlusconi; e per questo ancora più esitante a sbilanciarsi: almeno fino a che dalla maggioranza arriverà una proposta in grado di aprire qualche varco.
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