E nel Pd esplode il caso Radicali Possibile l'espulsione

Fanno una mossa a sorpresa. Di quelle che Marco Pannella applaudirebbe a lungo. Sta per iniziare la conta quando tre radicali si alzano e leggono il loro discorso diviso in tre parti uguali. Dicono, in buona sostanza, che non parteciperanno al voto perché l'altro ieri al Senato su carceri e amnistia non è andata come avrebbero voluto. Nei banchi del Pd prima c'è sorpresa, poi partono i fischi e le urla. Loro, alzano i cartelli, «Amnistia», arrivano i commessi che li fanno sparire.
Le facce democratiche sono sempre più scure. Che stavolta non finisce qua è chiaro da subito. L'ufficio di presidenza del gruppo viene convocato già durante le votazioni, mentre partono le dichiarazioni durissime dei dirigenti Pd.
«Per quanto mi riguarda considero il comportamento dei radicali inqualificabile. Ritengo che il gruppo ne debba trarre le conseguenze e, per quanto mi riguarda anche il partito», sbotta infatti Rosy Bindi subito dopo il voto di sfiducia al ministro Romano. Rincara il capogruppo Dario Franceschini: inqualificabile e incomprensibile. Tanto inqualificabile che oggi dopo la fine della seduta d'Aula, dopo le 13, si riunirà il direttivo del gruppo «che in base allo Statuto deciderà cosa fare». Cioè se procedere con l'espulsione dei radicali dal gruppo Pd, decisione che sarà presa dopo aver incontrato i «dissidenti» stamattina alle 9.30. Michele Ventura dice che il vaso era già colmo da tempo, che non è la prima volta ma, stavolta hanno compiuto «un gesto intollerabile e nel partito c'è un' insofferenza diffusa perché questa scelta non c'entra niente con l'amnistia». Qualcuno fa notare: entro la fine del mese scade la convenzione tra la Presidenza del Consiglio e Radio Radicale. In ballo c'è un finanziamento di un sacco di soldi. Non è questione di poco per la Radio di via di Torre Argentina.
Franceschini è furibondo. La decisione di riunire il direttivo è arrivata dopo l'ufficio di presidenza al quale ha partecipato anche il segretario Pier Luigi Bersani. «Non ci avevano detto nulla - commenta il capogruppo - di questa loro decisione che ha riguardato un voto pieno di significato politico. Stavamo votando la sfiducia al ministro Romano, non era una questione secondaria. Già nel voto sulle professioni sanitarie i Radicali avevano votato in modo diverso dal gruppo». Uno spettacolo, quello andato in scena ieri pomeriggio in Aula, che ha prima colto di sorpresa e poi fatto infuriare i democratici. Sono stati Maurizio Turco ed Elisabetta Zamparutti a spiegare che la loro protesta era conseguenza del sostanziale disinteresse del Senato alla loro proposta di cercare di affrontare la drammatica situazione nelle carceri. Ma i nervi democrat sono saltati quando ognuno dei radicali ha risposto alla «chiama» per il voto urlando «amnistia», stessa parola che campeggiava su alcuni cartelli che sono stati sventolati in Aula poco prima che Gianfranco Fini dichiarasse aperta la votazione. E un rapporto che era già teso e parecchio complicato, soprattutto negli ultimi tempi, va in pezzi proprio mentre Romano si gode la sua triste vittoria.
Lo Statuto del Pd prevede quattro sanzioni e su queste sarà chiamato a pronunciarsi il direttivo di oggi: il richiamo orale (pratica già consumata ieri Aula); il richiamo scritto, la sospensione e l'espulsione. Ieri sera a Montecitorio erano davvero tanti i deputati orientati verso l'espulsione e non è escluso, quindi che oggi vada proprio così. «In un momento politico così cruciale - commenta Antonello Soro che ieri ha parlato in Aula per il Pd - non ci si astiene dal voto. Questa era una mozione presentata dall'opposizione, cosa c'entra l'amnistia con il ministro Romano indagato per fatti gravi». Dal Pdl è il capogruppo Fabrizio Cicchitto a difendere i radicali: «Se il Pd decide l'espulsione dei radicali dà prova che il giustizialismo viene portato alle estreme conseguenze».
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