Nel palazzo è già totoministri all’Economia Boeri o Guerra e per la Cultura spunta Baricco

Dalla Rassegna stampa

I più scaramantici ricordano che "non si dice gatto finché non l’hai nel sacco". Ma è già partito il risiko del nuovo governo. Ci sono per la verità un paio di questioni politiche da risolvere in via preliminare. A partire da quale maggioranza pensa il segretario del Pd; se, per esempio, vuole allargare a chi in Sel ci sta a salire sul carro di un governo di riforme hard. Perché dalla composizione della maggioranza dipenderà anche quella dell’esecutivo. Se governo forte deve essere, i ministeri-chiave sono l’Economia e le Riforme. E i nomi che circolano sono quelli di Tito Boeri o di Andrea Guerra, l’amministratore delegato di Luxottica, per il dicastero che nel governo Letta ha guidato Fabrizio Saccomanni. Boeri per la verità è indicato come papabile anche per il Lavoro, dove però il Pd preferirebbe Guglielmo Epifani. L’ex segretario ha traghettato i Democratici dalle dimissioni di Bersani alle primarie che hanno eletto Renzi, facendosi poi da parte. Il sindaco fiorentino stesso ha detto ché c’è un debito di riconoscenza nei suoi confronti. Il puzzle sarà difficile da comporre se il futuro premier vorrà "rottamare" molto dell’esecutivo Letta. In primo luogo occorrerà vedere quale sarà il patto tra Matteo Renzi e Enrico Letta.

Nella Prima Repubblica, in casa Dc, a un premier uscente si offriva la Farnesina. Massimo D’Alema, che scalzò Prodi da Palazzo Chigi nel 1998, tornò poi come ministro degli Esteri del governo Prodi nel 2006. Ma al momento Enrico si prepara alla guerra e non sembra per nulla propenso ad accettare. Potrebbe allora restare Emma Bonino alla Farnesina, perché il presidente Napolitano preme affinché si garantisca continuità nei rapporti internazionali. L’altro "nodo" della partita è il rapporto con Angelino Alfano, attuale vice premier e ministro dell’Interno, leader del Nuovo centrodestra, la costola ex berlusconiana che ha reso possibile una maggioranza di governo. Alfano potrebbe limitarsi a fare il vice premier. Il Viminale sarebbe così affidato a Graziano Delrio, consigliere di Renzi e ora ministro degli Affari Regionali, oppure a Dario Franceschini. Per l’attuale ministro dei Rapporti con il Parlamento non è l’unica chance: l’altra destinazione è la Cultura. Mentre ai Rapporti con il Parlamento è indicato Roberto Giachetti, vice presidente della Camera. Alla Cultura c’è un altro nome che da tempo il segretario dem coltiva ed è quello dello scrittore Alessandro Baricco. Ovvio che il rapporto con gli alfaniani è centrale. Avevano quattro ministri (dopo le dimissioni della De Girolamo), ma dovrebbero ottenere la riconferma di Beatrice Lorenzin alla Sanità e di Maurizio Lupi oggi ai Trasporti.

Confermato all’Ambiente con ogni probabilità sarà Andrea Orlando, democratico della corrente "giovani turchi" che si è schierata per la staffetta tra Letta e Renzi al governo. E un altro giovane della minoranza dem, Maurizio Martina potrebbe essere dirottato allo Sviluppo economico, ruolo che Letta affidò al bersaniano Flavio Zanonato. Esclusa Debora Serracchiani, la "governatrice" del Friuli Venezia Giulia, alle Infrastrutture (ha detto che non vuole lasciare la Regione), potrebbe essere reclutato Vittorio Emiliano, il sindaco di Bari che sta per ultimare il mandato. Si parla anche di un ingresso di Pippo Civati, ex sfidante di Renzi alle primarie; di un incarico per Fabrizio Barca, ex ministro della Coesione territoriale e per il montiano Andrea Romano. Oscar Farinetti, il patron di Eataly, potrebbe essere destinato all’Agricoltura a meno che il futuro premier non pensi a una delega alla promozione dell’Italia. Per Giustizia e Riforme è balletto di nomi: Michele Vieni, vice presidente del Csm, è in pole position come Guardasigilli; Maria Elena Boschi per le Riforme. E infine alla Difesa, una donna (Mogherini o Pinotti).
 

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