Nel dream team per l'Europa non c'è posto per Blair

L´Ue è condannata a sbagliare, comunque agisca. Se decide di non scegliere Tony Blair come presidente del Consiglio Europeo, la mancata designazione avrà il sapore di un non evento. La sua eventuale nomina, d´altra parte, susciterà aspettative superiori alle reali possibilità. Questo mese ho trovato Washington percorsa da un vero brivido di eccitazione alla prospettiva di Blair portavoce dell´Europa. Tra le file dell´amministrazione Obama e al di fuori ho sentito commenti tipo: «Verrà lui dal presidente», e «allora inizieremo a credere che l´Europa sta facendo sul serio». Lo stesso succederebbe a Pechino e Mosca. Si può amare Blair o detestarlo, ma quanto a notorietà e statura internazionale, non c´è candidato che regga il confronto.
Ma pensiamo ora ai problemi. I conservatori britannici, che con tutta probabilità daranno vita al prossimo governo del Regno Unito, si sono espressi nettamente a sfavore della candidatura di Blair, che David Cameron ironizzando ha chiamato El Presidente. I liberal democratici pro europei sono stati quasi altrettanto duri, il loro leader Nick Clegg ha definito Blair con sarcasmo «una superstar, un globetrotter della politica». Molti nella sinistra britannica sono indignati all´idea della candidatura di Blair, soprattutto per l´affare Iraq, ma lo stesso vale per molti europei sul continente, soprattutto per coloro che si sono opposti a suo tempo alla guerra.
E non è tutto. Anche se Blair ha goduto di ampio sostegno politico in Gran Bretagna e sul continente, non mancherebbero gravi difficoltà strutturali. Il ruolo del Presidente del Consiglio Europeo non è ben definito ma senza dubbio non si tratta di un "president" nell´accezione britannica e tanto meno americana. È piuttosto un "chairman" con la funzione di creare consenso, affiancato secondo le previsioni attuali da un piccolo gruppo di collaboratori, con un budget limitato.
Inoltre il presidente, o la presidentessa, avrà il difficile compito di presentare una politica estera europea inesistente. Il Trattato di Lisbona si limita a porre i presupposti istituzionali affinché essa possa emergere, data la volontà politica degli stati membri. È un po´ la questione dell´uovo e la gallina. Proprio perché una politica estera comune non esiste, si potrebbe dire, serve una figura influente per crearla. Solo un personaggio della statura di Blair potrebbe persuadere capi di governo come Nicolas Sarkozy e Angela Merkel ad arrivare ad una posizione comune. Solo una personalità del genere saprebbe mediare a Bruxelles per creare il servizio estero europeo, facendo seguire i fatti alle parole.
Questa tesi ha due punti deboli. Primo, sopravvaluta di gran lunga l´importanza della capacità di persuasione di ogni singolo individuo. Tutti i maggiori stati europei oggi sono molto pragmatici e decisi nel perseguire i propri interessi nazionali. La Germania, la Francia, l´Italia, la Spagna e la Polonia lo fanno per mezzo e nel nome dell´Europa. La Gran Bretagna è sul punto di assumere di nuovo un atteggiamento scostante e controproducente perseguendo i propri interessi in conflitto con l´Europa. Ma in fin dei conti ciascuno pensa al suo orticello. La Germania non permetterà che il suo rapporto privilegiato con la Russia sia inficiato da un "presidente" della Ue e lo stesso vale per la Gran Bretagna e la sua relazione speciale con gli Usa.
Una figura del genere, dal potere nominale ma non effettivo, potrebbe esercitare un ruolo di persuasione all´interno dell´Unione Europea, a favore di una politica estera più forte, più coordinata, ma se pretendesse già di parlare a nome dell´Europa a Washington, Mosca o Pechino, farebbe promesse impossibili da mantenere. Per dar vita a una politica estera europea credibile è necessaria una paziente opera di rafforzamento della relativa volontà politica in ogni singolo stato membro, soprattutto nei più grandi. Ci vorranno ancora parecchi anni di trapano per «perforare assi spesse», come diceva Max Weber.
Perché l´Europa abbia più voce nel mondo servono inoltre meccanismi al momento inesistenti. Ma il compito di costruirli spetta al nuovo Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza comune, non al nuovo Presidente dell´Ue. A differenza del Presidente, l´Alto rappresentante, che ricopre al contempo l´incarico di vice presidente della Commissione europea, avrà a disposizione un budget più sostanzioso e un ampio numero di collaboratori. A lui, o lei, toccherà il compito arduo ma importantissimo di amalgamare i funzionari e i diplomatici di due diverse istituzioni europee e di 27 burocrazie nazionali in un unico Servizio estero europeo, in grado di identificare gli interessi comuni europei e gli strumenti di cui si dispone per portarli avanti. Sarà l´Alto rappresentante, in collaborazione con il Presidente della Commissione europea, a dover stabilire i collegamenti con i veri motori del potere esterno dell´Ue: politica dell´allargamento, aiuti allo sviluppo, commercio, regolamentazione, politica della concorrenza ecc. È questo che conta davvero. Si parla troppo del Presidente e non abbastanza dell´Alto rappresentante.
Tutto sommato, quindi, nella candidatura di Blair i contro superano i pro. Sarebbe però un disastro passare all´estremo opposto e nominare un personaggio come il lussemburghese Jean-Claude Juncker. L´immagine di un Presidente Blair che in visita a Washington o a Pechino «ferma il traffico» non sarà stata forse l´idea più felice di Milliband per sostenere la candidatura del suo ex capo, ma un presidente Juncker in visita non fermerebbe neppure un carrello della spesa sfuggito di mano. Ed è questo il problema di gran parte degli altri papabili.
C´è però chi sarebbe adatto – anche se dovrebbe essere persuaso ad accettare la candidatura. È Martti Ahtisaari, ex presidente finlandese, mediatore internazionale dell´Onu nonché premio Nobel per la pace 2008. Ahtisaari possiede la statura, la dignità e l´esperienza adeguate all´incarico. La sua anzianità di statista gli conferirebbe autorità sull´attuale generazione di capi di governo dell´Ue. Ha eccellenti doti da presidente senz´ombra di deliri di potere. Verrebbe preso in seria considerazione nelle capitali europee senza che nessuno abbia l´impressione che rubi i riflettori. Come co-presidente del Consiglio Europeo per le relazioni estere ha già trascorso alcuni anni a riflettere seriamente sull´impronta da dare alla politica estera europea.
Come ho indicato sarebbe essenziale accostargli un Alto rappresentante dalla forte personalità. In questo periodo di formazione un Alto rappresentante debole potrebbe essere nocivo quanto un Presidente debole. Carl Bildt sarebbe una scelta eccellente, ma probabilmente si è fatto troppi nemici e, visto che il segretario generale della Nato è danese, c´è chi potrebbe lamentare un esubero di scandinavi.
Il mio candidato preferito sarebbe Joschka Fischer, una mente strategica, autorevole ex ministro degli Esteri tedesco. Sarebbe in grado di mediare a Bruxelles e sarebbe ascoltato all´estero. Ma l´Alto rappresentante deve essere membro della Commissione Europea e la Germania ha appena nominato un altro come suo unico commissario.
Non resta quindi che il ministro degli Esteri britannico David Miliband, che si è appena espresso a favore della politica estera europea con grande eloquenza ed efficacia, come non mi accadeva da tempo di leggere (www.iiss.org/recent-key-addresses/david-miliband-address-oct-09/). Miliband rifiuta l´ipotesi di una sua candidatura, per indisponibilità, e appoggia al cento per cento la nomina di Blair a Presidente. Presumo che se Blair non ottenesse la nomina alla presidenza, e la Ue avanzasse la proposta nel modo dovuto, Milliband potrebbe accettare l´incarico di Alto rappresentante.
Il mio dream team quindi è Ahtisaari-Fischer. Se no, Ahtisaari-Miliband.
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