Nel centrodestra ora si profila una resa dei conti

Non si sa ancora se il Pdl avrà una lista alle regionali nella provincia di Roma: l'ufficio elettorale dirà oggi se verrà riammessa dopo che sabato scorso era stata presentata fuori tempo massimo. È chiaro, invece, che il centrodestra si prepara a reagire ad una seconda bocciatura parlando di «grave vulnus politico»: tesi sostenuta dai tre coordinatori nazionali Bondi, Verdini e La Russa. Definisce i radicali «agenti provocatori». E adombra un complotto politico-giudiziario per impedire la presentazione delle liste del Pdl in Lazio e Lombardia. Eppure proprio La Russa aveva parlato di «grave leggerezza». E ieri Umberto Bossi ha ironizzato sui «dilettanti allo sbaraglio». Un innalzamento dei toni così brusco, al quale tra l'altro ha fatto da sponda il presidente del Senato, Renato Schifani, suggerisce qualche domanda. Più si procede verso il voto del 28 e 29 marzo, più cresce la sensazione che quegli episodi non siano la sola causa dell`inquietudine nella coalizione berlusconiana.
C'è una fragilità vistosa del corpo del partito nato dalla fusione tra FI e An; e viene accentuata
dalla marcia in ordine sparso dei leader della maggioranza. Silvio Berlusconi fa del suo meglio per accreditare un Pdl unito. Annuncia una campagna nella quale «la scelta di campo» dovrebbe surrogare candidature non sempre felici. Ma intorno non ha né alleati, né generali docili. Ad appena quattro settimane dal voto, proprio ieri Gianfranco Fini ha dichiarato in pubblico
che «così com'è adesso il Pdl non mi piace». E il ministro dell'Interno Roberto Maroni, numero due della Lega, ha esaltato l'esperienza del Carroccio rispetto al pressappochismo dimostrato dal Pdl. La bocciatura nel Lazio, che per il momento coinvolge anche la lista della candidata Renata Polverini, catalizza ironie e contrasti.
Quando Maroni taglia la strada ad una «leggina» per rimediare agli errori del Pdl laziale, parla come responsabile del Viminale; ma è guardato da alcuni berlusconiani come il leghista che si rifiuta di circoscrivere il pasticcio. Sono indizi di un nervosismo crescente; e del timore che il riequilibrio dei governi regionali nei confronti del centrosinistra non sia più così scontato. Ieri la Polverini, data finora per sicura vincente, ha dovuto ribadire in un comizio: «Io rimango candidata, smentisco chi dice che non lo sono più». Inquieta la prospettiva di uno smottamento dei consensi sull'onda della delusione.
Antonio Di Pietro alimenta questa guerra dei nervi, evocando il fantasma che Berlusconi teme di più: la vittoria «del partito di maggioranza relativa dell`astensionismo». Berlusconi teme che il Pdl, considerato dal premier «un punto di forza» a dispetto di Fini, stia diventando di nuovo un bersaglio intermedio per destabilizzare il governo. È un gioco autolesionista
del quale l'incidente delle liste finisce per diventare il simbolo involontario: la prova che le cose non funzionano.
Ma c'è qualcosa di peggio che fa capolino in queste ore convulse. È come se alcuni settori del centrodestra ormai fossero proiettati oltre le regionali, oltre la vittoria e la sconfitta: tutti concentrati sulla resa dei conti che sembrano sicuri ne seguirà.
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