Nel calderone del milleproroghe ora rispunta un nuovo condono

Il Milleproroghe è come l’allarme smog nella Pianura padana, arriva puntuale alla fine di gennaio, come il canone Rai, una tassa. Una tassa sul Parlamento. Una legge onnivora che permette a deputati e senatori di digerire (senza dibattito) condoni, dilazioni, elargizioni non meglio specificate.
Dovrebbe essere un provvedimento tecnico per correggere le incongruenze del Bilancio, alcuni errori della fretta. Diventa un calderone nel quale i parlamentari si sentono autorizzati a buttare richieste, proposte (di spesa, generalmente) di ogni genere, sperando che tra le mille righe finiscano per essere approvati i loro personalissimi e spesso poco pubblicizzabili emendamenti.
Prendete l’ultimo decreto: oltre 1.500 emendamenti, che da oggi dovrebbero essere sfoltiti fino a diventare qualche centinaio. Spunta la richiesta di rinvio per le multe sulle quote latte, la proposta di ripianare i debiti della Scala e dell’Arena di Verona. E, immancabile, il condono edilizio. Sul quale lavora con un professionismo degno di miglior causa - è sempre stato bocciato, tra l’altro - un gruppo di senatori del PdL guidati dal campano Carlo Sarro, che insiste nel volerlo estendere per la sua regione: la richiesta di proroga del provvedimento del 2003 l’hanno presentata due anni fa e l’anno scorso nel Milleproroghe, poi come emendamento alla manovra e ora di nuovo. Finora senza esito ma ogni volta con una richiesta in più: per chi ha operato in aree protette, per chi ha fatto già domanda ed è stata respinta e per chi si è dimenticato di farla in tutti questi anni.
Tutto molto italiano, direte voi. Certo. E forse in questo momento di grande incertezza e di difficoltà istituzionale, con il rischio di tentazioni populiste, occuparsi dei «vizi» del Milleproroghe - con questo nome, che altro aspettarsi - può apparire riduttivo, addirittura un po’ di nicchia. Ma il prestigio del Parlamento passa anche di qui, non solo dalla giunta per le autorizzazioni o dalle grandi riforme di sistema. Se a non difendere l’autorevolezza del Parlamento sono per primi gli stessi parlamentari (non tutti, d’accordo), come pretendere il rispetto altrui, è una domanda che forse nel Palazzo dovrebbero farsi più spesso.
© 2011 Corriere della Sera. Tutti i diritti riservati
SEGUICI
SU
FACEBOOK
SU