"Il negro ha visto tutto" muore il testimone del carcere di Teramo

Dalla Rassegna stampa

Una drammatica coincidenza. Il «negro», il testimone del presunto pestaggio, muore in carcere. Tumore al cervello, dirà l`autopsia. Ma per qualche giorno si sospetta. Si sospetta degli agenti della polizia penitenziaria. Si sospetta che la morte improvvisa di Uzoma Emeka, 32 anni, possa essere collegata alle parole per cui un mese fa il comandante Giuseppe Luzi è stato sospeso: «In sezione un detenuto non si massacra, si massacra sotto. Si è rischiata la rivolta, perché c`era il negretto, il negro, che ha visto tutto». L`autopsia, infine, fuga ogni dubbio. Ma intanto la morte del «negro» riaccende l`attenzione su una vicenda ancora irrisolta e sulla «disastrosa» situazione del penitenziario di Teramo, dove, secondo il presidente di A buon diritto Luigi Manconi, si è consumato l`ennesimo caso di «abbandono terapeutico». Venerdì scorso, il 18 dicembre, verso le otto e trenta del mattino, Uzoma Emeka si sente male nella sua cella. Nigeriano, una condanna a due anni per reati di droga, ha una figlia di quattro mesi e probabilmente una depressione per cui assume dei farmaci. Viene immediatamente soccorso dalla polizia penitenziaria, che lo porta nell`infermeria del carcere. Dopo qualche ora, però, le sue condizioni si aggravano a tal che il medico di turno ricorre a un defibrillatore nel tentativo di rianimarlo. Viene chiamato il 118. Ma il trentenne arriva in fin di vita al pronto soccorso dell`ospedale Mazzini di Teramo. Per lui non c`è più nulla da fare. La vicenda alimenta subito un gran numero di sospetti, dal momento che il nigeriano è il testimone principale di un presunto pestaggio su cui da più di un mese indaga la magistratura. E lui che il comandante Luzi chiama «il negro», in una conversazione registrata di nascosto e poi inviata in una busta anonima al quotidiano locale La città. Lui ha «visto tutto» e avrebbe potuto scatenare «una rivolta», perciò Luzi in quella conversazione rimprovera un sovrintendente e gli ricorda che «un detenuto non si massacra in sezione, si massacra sotto». Parole che allarmano, perché fanno pensare a un`abitudine alla violenza da parte degli agenti. La polizia penitenziaria parla di semplice intemperanza verbale, ma la magistratura apre un`indagine e il comandate viene sospeso. Intanto il «negro» resta nel penitenziario. Ma agli investigatori che lo interrogano su delega del pm David Mancini, dice di non ricordare l`episodio cui la conversazione incriminata fa riferimento. Quando la notizia della morte di Emeka si diffonde, venerdì pomeriggio, la pm Roberta D`Avolio avvia un`indagine e dispone l`autopsia. In parallelo inizia a circolare l`informazione (non confermata) che per il pestaggio di cui il nigeriano sarebbe stato testimone sei persone sono state iscritte nel registro degli indagati: il comandante Luzi, quattro agenti e il detenuto tossicodipendente, un napoletano, che sarebbe stato malmenato (gli agenti sostengono infatti di essere stati da lui aggrediti). Sembrano esserci, insomma, tutti gli elementi di un delitto per ritorsione, dietro la morte di Emeka. E invece, l`autopsia ieri ha accertato che si è trattato di morte naturale. Un tumore al cervello, che ha causato una fatale ernia celebrale. «E la conferma che non c`entriamo nulla», sottolinea in serata Giuseppe Pallini, segretario provinciale del Sappe (Sindacato autonomo della polizia penitenziaria). Secondo Pallini anche per l`altra vicenda, il presunto pestaggio, gli interessati non hanno ancora ricevuto nessun avviso di garanzia. Anzi, chiede che, a tre mesi di distanza dall`episodio, si faccia al più presto chiarezza, in modo da fugare i dubbi ancora gravanti sugli agenti. Ma intanto la morte di Emeka apre nuovi interrogativi. La deputata radicale Rita Bernardini pone innanzitutto una domanda: come mai il testimone di un presunto pestaggio non è stato spostato, come «opportuno», dal carcere in cui lavorano le persone che avrebbe dovuto accusare? E poi un altro quesito: si erano accorti i medici del penitenziario, della grave malattia del giovane nigeriano? Il presidente di A buon diritto, Manconi, denuncia « l`abbandono terapeutico» di cui sarebbe stato vittima Emeka e il ritardo con cui venerdì mattina è stato trasferito in ospedale. Riferisce inoltre che «48 ore prima, l`uomo già si era sentito molto male». Perciò conclude: «Erano già tutti riconoscibili i segnali di una condizione particolarmente compromessa, in un soggetto tossicodipendente e depresso. Ma sottolinea Manconi - il carcere di Teramo è, sotto tutti i profili, un autentico disastro». Un carcere senza direttore, dove sono stipati 400 detenuti in spazi che potrebbero contenerne 230 e gli agenti in servizio sono sottodimensionati», elenca Bernardini. Che non ha ancora ricevuto risposta alle tre interrogazioni finora presentate sul carcere di Castrogno. E chiama in causa il ministro Alfano: «Non si rende conto che la situazione è esplosiva?».

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