«Negli uffici pubblici esporre solo il crocifisso»

La laicità dello Stato è un «principio supremo» che non si discute, sebbene non affermato esplicitamente dalla Costituzione, ma negli uffici pubblici, aule di giustizia comprese, l'unico simbolo che può essere esposto - in base alla circolare ministeriale fascista 2134/1867 del 29 maggio 1926 - è il crocifisso. Per esporne altri, serve un intervento «discrezionale» del Parlamento che «allo stato non sussiste», e che - qualora venga messo in cantiere - deve tener conto anche dei rischi di conflitto insiti in una simile operazione multiculturale.
Lo sottolineala Cassazione nelle 46 pagine di motivazione - contenute nella sentenza 5924 - che confermano la decisione del Csm, dello scorso maggio, di radiare dalla magistratura il giudice di pace di Camerino Luigi Tosti, il magistrato di fede ebraica che si è astenuto dalle udienze chiedendo che il crocifisso fosse rimosso da tutte le aule.
Spiega la Cassazione che Tosti ha intralciato il buon funzionamento del tribunale in quanto ha rifiutato di tenere udienza anche dopo che gli era stata data un'aula senza alcun simbolo. «L'aula-ghetto non la voglio» aveva risposto il magistrato, chiedendo allora di poter esporre anche il candelabro a sette braccia, la «menorah», accanto al crocifisso. Per protesta, facendo leva sul principio della laicità dello Stato, aveva portato in dibattimento la «pera di ferro», strumento usato per torturare durante l'Inquisizione.
Ma la sua «battaglia» - protrattasi dal luglio 2005 alla fine di gennaio 2006 - non ha fatto breccia nella coscienza dei supremi giudici. Un impiegato dello Stato, gli hanno detto, può solo chiedere di lavorare in un ambiente senza il crocifisso - cosa che Tosti aveva ottenuto ma non utilizzato - ma non può farsi paladino di una battaglia per la laicità a nome di tutta la collettività, perché è una rivendicazione che spetta all'azione popolare.
La Cassazione aggiunge che il crocifisso non deve necessariamente essere percepito come una «minaccia» da chi professa un'altra fede, per cui non ci si può rifiutare di lavorare «solo perché nelle altre aule italiane» questo simbolo è esposto.
«Per fortuna che c'è, un giudice a Roma che confermando il diritto di esposizione del crocefisso rispetta la vera laicità, distinguendola dal laicismo e dall'ideologia militante anti cristiana», ha commentato Stefano Graziano del Pd. Secondo il deputato radicale Maurizio Turco, la sentenza desta perplessità «perché attualmente, il crocifisso viene appeso non già a seguito di una scelta discrezionale del legislatore bensì di una circolare fascista sulla quale il legislatore non si è mai espresso».
Soddisfatto il sindaco di Roma Gianni Alemanno perché «finalmente il crocifisso viene riconosciuto come simbolo della nostra identità culturale». Infine, il leghista Paolo Grimoldi sottolinea che la possibilità di aprire anche ad altri simboli «non sussisterà mai, salvo che non si voglia innescare un conflitto sociale».
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