Le mosse politiche del Monti tecnico

Se si mettono in fila gli atti compiuti del governo Monti negli ultimi giorni o addirittura nelle ultime ore, ci si rende conto della curvatura politica che sta assumendo l'esecutivo «tecnico». Può essere solo una coincidenza che il comune di Reggio Calabria sia stato sciolto proprio mentre a Milano veniva arrestato un altro assessore della giunta Formigoni. Ma nell'insieme l'impressione è di un attacco senza precedenti alla malavita «istituzionale». È vero infatti che le regioni subiscono l'offensiva della magistratura, mentre in Calabria ad agire è il ministro dell'Interno.
E tuttavia mai finora una città dell'importanza di Reggio era stata punita per collusione mafiosa. E mai, va detto, una gran parte delle regioni italiane era stata messa sotto inchiesta dalla magistratura in forme altrettanto capillari. Potremmo aggiungere che il disegno di legge anti-corruzione messo a punto dal ministro Severino intravede per la prima volta il traguardo dell'approvazione parlamentare. Come dire che sul terreno della legalità l'albero è stato scosso e i risultati cominciano a essere evidenti. E non c'è risvolto della vita pubblica più denso di implicazioni politiche come la lotta al crimine o anche solo all'illegalità diffusa, perdipiù convinta di essere intoccabile.
Ma c'è dell'altro. La riforma del Titolo V, volta a correggere gli errori commessi dalla sinistra nel 2001, è in sé una piccola rivoluzione. S'intende, si tratta di una legge costituzionale e quindi i tempi non sono prevedibili (se ne occuperà la prossima legislatura). Ma il messaggio politico è chiaro e investe le degenerazioni di un certo «federalismo» pasticcione, quale che sia la sua impronta: di destra o di sinistra.
Poi ci sono le misure annunciate ieri, sulle quali sono possibili tutte le riserve di merito. Sta di fatto che la riduzione delle aliquote Irpef più basse, unito però a un rialzo dell'Iva, ha suscitato polemiche brucianti e in buona misura fondate. E tuttavia quello che in questa sede interessa è che anche in questo caso si è trattato di una scelta dai risvolti politici evidenti, tanto più che mancano pochi mesi alle elezioni.
Nei tre casi citati (lotta all'illegalità, freno al federalismo sprecone e revisione fiscale) è come se il governo Monti volesse dimostrarsi dinamico e capace di allargare la propria visione nazionale, in modo da non essere percepito solo come l'esecutivo degli «spread» e dell'austerità sempre più faticosa da sopportare.
Ne deriva che per le forze politiche, ormai pronte a tornare al centro della scena dopo il voto, l'asticella della credibilità viene alzata dal governo. Infatti su una serie di temi i cosiddetti «tecnici» si stanno dimostrando più propositivi e in qualche caso (vedi il caso di Reggio) più coraggiosi dei politici. È qualcosa che avrà il suo peso quando, dopo il risultato elettorale, si dovrà decidere se e come sostituire l'attuale presidente del Consiglio con un leader partitico.
In ogni caso non esiste una relazione diretta fra il profilo più politico assunto dal governo Monti e le grandi manovre berlusconiane per coprire la crisi del Pdl dietro il volto e l'immagine anche internazionale del premier in carica. Le due cose marciano su binari del tutto separati, e non c'è dubbio che Monti non ha alcun interesse ad assecondare in forma palese i piani di Berlusconi. È vero però che con queste iniziative più politiche il governo partecipa a suo modo alla campagna elettorale. E per i partiti sarà più difficile prescindere da certe decisioni (e in qualche caso da certi risultati) dell'esecutivo. Allo stesso modo, all'indomani del voto, potrebbe risultare molto più difficle del previsto archiviare come una parentesi Monti e il suo lavoro.
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