La morte di Stefano Cucchi

La morte di Stefano Cucchi - arrestato il 15 ottobre per possesso di droga scompare dai “radar” della vita civile per una settimana per ricomparire, morto, pieno di segni di percosse e tumefazioni, il 22 ottobre senza che la famiglia sia mai riuscita ad incontrarlo - rappresenta l’ennesima riprova di un problema più generale che attraversa il nostro Paese. Al di là della vicenda di quel giovane, le cui immagini del corpo martoriato bastano da sole a denunciare il buco nero in cui è caduto lui e l’intero apparato di sicurezza, su cui si spera la magistratura faccia al più presto chiarezza, da troppo tempo assistiamo in Italia ad un susseguirsi di violenze causate da incontrollati e apparentemente incontrollabili violenze di alcuni agenti delle forze dell’ordine. Casi analoghi di eccesso hanno messo fine alla vita di Rasman, Aldrovandi, Sandri, per citare i più recenti. Molti sono poi gli episodi di abusi che finiscono meno drammaticamente, ma che non per questo non vanno ritenuti significativi di una tendenza da bloccare quanto prima.
Tralasciando i tristi tentativi d’insabbiare e di coprire i responsabili e al netto delle dichiarazioni delle forze politiche, caute o aggressive a seconda delle diverse, contingenti, esigenze tattiche, possiamo segnalare l’esistenza di due generi di scenari che contengono altrettanti errori di prospettiva. Il primo è che queste vicende vengono spesso ignorate o sottostimate dai cosiddetti benpensanti e dagli amanti dell’ordine, nella speranza di proteggere le forze di pubblica sicurezza. L’errore è credere che le irregolarità e le prepotenze di chi ha il compito di far rispettare le leggi possano comunque essere utili a combattere la “delinquenza”. Non è così: non solo vessazioni e violenze della polizia non hanno mai prodotto ordine ma, al contrario, instillano nella pubblica opinione paura e diffidenza, da un lato, e ribellismo se non aperta ostilità, dall’altro, aumentando il senso di estraneità e insofferenza verso il sistema. In una realtà costituzionale, solo il rispetto delle leggi e delle procedure da parte di tutti, unitamente ad una concreta attenzione ai meccanismi della giustizia sociale, garantiscono la riduzione delle tensioni e la legittimazione del potere esistente. In poche parole, dovrebbero essere proprio i conservatori a pretendere il rispetto delle regole in modo da ridurre le prospettive di strappi violenti che accompagnano le epoche in cui manca la fiducia nel ruolo delle istituzioni.
La questione, e siamo al secondo scenario, va al di là dell’ovvio argomento delle “mele marce” o dei “violenti” che si nascondono dentro una divisa per dare sfogo alle proprie frustrazioni. Si tratta, va da sé, di un numero infimo se comparato alla totalità degli appartenenti ai diversi corpi di polizia che operano nel rispetto delle leggi. Mi riferisco al fatto che alcuni ambienti delle forze dell’ordine possono diventare sensibili a progetti facilmente strumentalizzabili per pescare nel torbido (basti pensare ai quattro carabinieri che hanno ricattato Marrazzo). I responsabili, non va dimenticato, sono singole persone che scelgono volontariamente certi comportamenti e dunque il riferimento alle mele marce è giusto e non vanno coinvolti i loro Corpi di appartenenza. Però, nel complesso, i comandi di polizia giudiziaria e dei carabinieri dovrebbero far sapere se esistono politiche per impedire la formazione di ambienti e culture chiuse che favoriscono quel tipo di ristagno dell’aria che evidentemente rischia di accelerare l’avariarsi della “frutta”. Esistono strumenti, dopo la drammatica epopea della “uno bianca”, per impedire che “spezzoni” o anche singoli possano decidere di agire, senza controllo, contro la legge? L’agente di pubblica sicurezza, in senso lato, ha un compito tra i più onerosi della società, dare forma a quel giusto, proporzionato, grado di violenza con cui impedire i reati. In teoria e nei videogiochi sembra facile. In realtà, l’azione di repressione si attua contro persone reali e quindi diventa il momento psicologicamente e materialmente più difficile tra i tanti che caratterizzano la vita di società. Per questo motivo è decisiva la selezione e la preparazione del personale: bisognerebbe insistere nel migliorare la formazione tecnica e psicologica di operatori la cui carriera comunque dovrebbe dipendere dalla competenza, teorica e pratica, in diritto costituzionale, perché i diritti dei cittadini sono il bene più prezioso di un sistema di democrazia liberale.
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